sommario
> Capitolo 10. [M. Michelino:1970-1983 - La lotta di classe nelle
grandi fabbriche di Sesto San Giovanni]
ALLEGATI
Riportiamo in questo
capitolo alcuni scritti significativi che possono chiarire ulteriormente il
clima di lotta in fabbrica negli anni ’70-’80, sia per quanto riguarda la lotta
contro la repressione padronale e poliziesca che quella del PCI e del
Sindacato.
La lotta degli operai del reparto Forgia della Breda Fucine
contro la nocività raccontata nelle pagine seguenti ottenne risultati
significativi. Uno dei risultati più importanti ottenuti da questi lavoratori
nel 1981 fu la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali per 5 giorni
la settimana.
Per restare meno tempo a contatto con le sostanze nocive
(amianto, cromo, fumi, olii minerali, rumori assordanti, calore, ecc.) gli
operai lottarono per avere le pause. I lavoratori a caldo (magli, presse
trafile, forni) ottennero pause fino al 40% dell’orario di lavoro. Questo
significava che, su 8 ore di lavoro, 3 ore e 20 minuti erano di pausa
autogestita dalla squadra; le restanti 4 ore e 40 minuti erano di prestazione
lavorativa effettiva.
Riproporzionata sui turni, dove si lavorava 7 ore e
30 minuti perché mezz’ora di mensa era pagata come a tutti i turnisti
metalmeccanici, significava 3 ore di pausa e 4 ore e 30 di lavoro. Questo
risultato fu ottenuto partendo da una serie di lotte iniziate con obiettivi
diversi, a cominciare da quella per l’aumento dell’ “indennità di disagio”, che
si trasformò nella “conquista” della riduzione dell’orario.
Anche se i
lavoratori erano convinti di avere ottenuto una vittoria senza aver dato nulla
in cambio, in realtà - come ci rendemmo conto più tardi - quella “conquista” non
fu senza contropartite. L’accordo sulle 35 ore siglato tra il Consiglio di
Fabbrica e la Direzione aziendale stabiliva che i lavoratori in 7 ore facessero
la produzione che prima si faceva in 8 ore, facendo figurare che l’ultima ora di
pausa era fatta fuori dalla fabbrica. Naturalmente lo stesso discorso veniva
riproporzionato sui turni.
In questo modo, la Direzione aveva il
vantaggio di avere comunque la produzione di un intero turno di 8 ore,
risparmiando i costi di gestione degli impianti (corrente elettrica, gas, usura
macchine, ecc.) di un’ora e gli operai avevano il vantaggio di uscire dalla
fabbrica un’ora prima.
Questo accordo fu duramente contrastato a livello
dell’Associazione padronale. L’Intersind di Milano (Associazione dei padroni
pubblici, corrispondente all’Assolombarda dei padroni privati) si rifiutò di
sottoscrivere tale accordo, che riduceva la giornata lavorativa, che quindi
venne firmato solo a livello aziendale. Tuttavia l’accordo, che limitava la
giornata lavorativa a parità di salario, non portò ad alcun aumento
dell’occupazione, limitandosi a farci contenere le perdite
occupazionali.
La lotta del reparto Forgia sulla richiesta di adeguamento
dell’indennità 5 (così si chiamava l’indennità di caloria dovuta ai lavoratori a
caldo) ha rappresentato uno dei momenti significativi di questo ciclo di
lotte.
Riproporre oggi la cronaca di questa lotta, così come è stata
scritta allora dai protagonisti, insieme ad altri documenti inediti, è utile per
capire attraverso quali contraddizioni si sviluppò la
lotta.
(Intervento pubblicato sul Bollettino dei comitati contro
la repressione)
Intervento di un compagno
del
GRUPPO OPERAIO BREDA FUCINE DI SESTO S. GIOVANNI
La situazione del
proletariato e delle sue avanguardie
L’acuirsi della crisi
economica a livello mondiale segna il fallimento delle illusioni e dei fronzoli
prerivoluzionari che hanno imprigionato in questi anni il movimento
rivoluzionario del proletariato.
Le varie teorie sulla classe operaia
integrata, garantita, sui nuovi soggetti rivoluzionari, sulla caduta della legge
del valore, sul “siamo tutti proletari”, sono franate miseramente davanti alla
cruda realtà.
La crisi economica ha dimostrato ancora una volta la
transitorietà del modo di produzione capitalistico.
Ed è in questa
situazione che incominciano a muoversi nelle fabbriche alcuni strati operai, nel
tentativo di difendere i loro interessi. Ma il danno arrecato al movimento
rivoluzionario dalle teorie sopra citate è stato consistente; per le avanguardie
rivoluzionarie il fatto di riconoscere il fallimento di tali teorie unito alla
necessità di farvi definitivamente i conti costituiscono il punto di partenza
per la ripresa del movimento rivoluzionario della classe.
Le classi
sociali che traggono la loro origine dalla divisione del lavoro non sono affatto
scomparse, e i teorici dell’ “operaio sociale”, che individuano nel proletariato
industriale i garantiti. hanno mistificato su di una prima importantissima
questione: l’esistenza delle classi anche in fabbrica.
Nella fabbrica, oltre
al padrone, ai dirigenti, alle guardie e agli impiegati, quasi tutti portano la
tuta, compresi i tecnici e i capi; ma cosi come non è la tuta che determina
l’appartenenza a una classe, non sono neanche i comportamenti soggettivi o
politici a determinare le classi, ma è il ruolo che ciascun individuo o insieme
di individui svolge nella produzione e riproduzione della vita sociale che
determina l’appartenenza a una determinata classe.
E qualsiasi
rivoluzionario che in fabbrica non faccia questa prima iniziale battaglia per
scindere gli interessi della grande massa proletaria da quelli delle altre
classi, al di là delle buone intenzioni, di fatto contribuisce a mantenere
l’egemonia dell’aristocrazia operaia sugli strati bassi e in generale della
borghesia sul proletariato. Quindi non i comportamenti, ma la posizione che
occupa nella produzione e il rapporto col macchinario, sono le cause oggettive
che fanno del proletariato industriale la classe rivoluzionaria, l’unica
antagonista diretta del capitale.
Crisi e repressione
L’esempio della
Fiat, con il licenziamento dei 61 e la cassa integrazione per i 23 mila, è forse
quello più significativo per la rilevanza assunta, e dimostra come, al di là
delle fantasie di qualcuno, la ricerca del massimo profitto è sempre
l’obiettivo, perseguito dai capitalisti.
Infatti, nella crisi, i singoli
capitalisti e lo stato (in quanto capitalista collettivo) sono costretti a
portare avanti i processi di ristrutturazione per rendere più competitive le
loro merci sul mercato mondiale e la repressione diventa quindi necessaria per
stroncare qualsiasi tentativo di organizzazione indipendente della
classe.
La ristrutturazione degli apparati repressivi dello stato e del
comando in fabbrica sono quindi funzionali all’estorsione del plusvalore dagli
operai e alla fase che attraversa il capitale per adeguare al ciclo economico la
sovrastruttura politica.
Ruolo del
Pci, del sindacato e degli ex-rivoluzionari del ‘68
In nome
della difesa dell’“economia nazionale” il PCI e il sindacato, controllato dai
partiti parlamentari, in fabbrica sabotano qualsiasi lotta che esca dal loro
controllo e, in nome della “lotta al terrorismo”, svolgono una vera opera di
delazione nei confronti delle avanguardie. Stroncare qualsiasi lotta che
fuoriesca dalla disciplina del sindacato e dalla linea dei sacrifici è ormai
l’obiettivo del PCI per legittimarsi come unico rappresentante della classe
operaia. E gli esempi non mancano, come si è visto ultimamente anche alla Breda
Fucine, dove in un reparto (Forgia) gli operai che sono scesi in lotta su
rivendicazioni economiche si sono scontrati non solo con la direzione, ma anche
con il PCI e il CdF. Oltre alle intimidazioni il PCI, per sabotare la lotta, ha
organizzato squadre di crumiri i cui elementi di punta erano i suoi militanti
nel reparto. Il ruolo antioperaio del PCI e del CdF si è talmente evidenziato
agli occhi degli operai che questi ultimi hanno dichiarato un’ora di sciopero
contro il CdF, per le posizioni assunte nella lotta.
In questa operazione
repressiva un posto rilevante lo occupano anche gli exrivoluzionari che,
sull’onda delle lotte operaie degli anni scorsi e facendo leva sul loro passato
“rivoluzionario”, si sono ormai piazzati negli esecutivi dei CdF, negli apparati
sindacali e nello stesso PCI. In molte fabbriche alcuni di questi fanno parte
del comando ai vari livelli e sono le punte avanzate della politica antioperaia.
Alla Breda Fucine, per esempio, due compagni del gruppo operaio, di cui uno
delegato, sono stati sospesi dalla FLM soltanto per aver espresso giudizi
diversi dal PCI e dal CdF sullo stato e sul terrorismo, e un ruolo determinante
in questo l’hanno avuto gli ex-rivoluzionari.
I risultati della politica dei
sacrifici
I sacrifici imposti in questi anni ai proletari dai
capitalisti e dalla cosiddetta linea dell’EUR, come condizione necessaria per il
superamento della crisi, sono serviti solo a peggiorare ulteriormente le
condizioni materiali dei proletari. L’abolizione delle 7 festività e il
conseguente allungamento dell’orario di lavoro, il blocco dell’indennità di
contingenza sulle liquidazioni, il primo ritocco alla scala mobile (eliminazione
dal paniere di luce, trasporti e giornali), la diminuzione della forza-lavoro
occupata attraverso l’espulsione dalle fabbriche di migliaia di operai in cassa
integrazione, la fiscalizzazione degli oneri sociali. Queste alcune delle misure
anticrisi che dovevano essere, secondo le dichiarazioni dei sindacati e dei
partiti che sostenevano il “governo di unità nazionale”, le soluzioni temporanee
necessarie per uscire dalla crisi e aumentare l’occupazione. Sono servite solo
per ridurre i salari reali e aumentare il numero dei proletari disoccupati. In
ogni paese la borghesia ha fatto la stessa operazione, vanificando quindi i
tentativi di ogni frazione del capitale di rendere più competitive le proprie
merci; questa è la situazione attuale. da cui la borghesia parte per imporci
altri sacrifici.
Ma la realtà ha
dimostrato che i sacrifici di ieri hanno preparato i licenziamenti di oggi e
quelli di oggi stanno preparando quelli ancora più massicci di
domani.
E questo incomincia ad essere compreso dagli operai.
L’esigenza dell’organizzazione di classe per resistere agli attacchi del
capitale incomincia oggi in certi settori del proletariato a trasformarsi in
tentativi di organizzazione indipendente e su questo bisogna lavorare, avendo
però coscienza che limitarsi, come avanguardie rivoluzionarie, ad organizzare la
resistenza operaia senza porre all’ordine del giorno la necessità della
costruzione del partito e la questione del potere politico, significa perdere
l’occasione che la crisi del capitale ci fornisce.
La lotta contro la repressione in
fabbrica
L’importanza dell’avanguardia, la giustezza della sua
linea, trovano oggi il terreno migliore per la verifica. Dove in questi anni le
avanguardie hanno lavorato è stato possibile organizzare momenti di lotta e
rispondere in un certo modo alla repressione.
Alla Breda Fucine, durante la
lotta a cui prima ho accennato, i carabinieri usando il pretesto del sequestro
di un capo ad opera delle BR, hanno fatto irruzione nelle case di 23 operai (di
cui una decina alla Forgia). Lo scopo intimidatorio era evidente, anche perché
la maggior parte degli operai perquisiti non erano le cosiddette avanguardie, ma
operai “normali”, che avevano avuto il solo torto di essere stati i più attivi
nelle lotte che ci sono state ultimamente in fabbrica e ormai per questo
probabilmente considerati dagli informatori dei carabinieri “irrecuperabili”
alle “regole democratiche”; questo fatto ha spaventato alcuni operai, perché
solo un idiota può dire come ha sostenuto anche qualcuno in questa assemblea,
che l’intimidazione non fa paura.
Ma il fatto stesso che, nonostante che
il clima di caccia alle streghe fosse forte e che il CdF abbia avallato
l’operazione poliziesca, gli operai della Forgia si siano riuniti in assemblea
approvando un comunicato di condanna delle perquisizioni e di solidarietà a
tutti i perquisiti, dimostra che qualcosa nelle fabbriche sta cambiando. Da qui
dobbiamo partire. Perché le masse operaie, per usare un termine adoperato da
molti in questa assemblea, non scioperano quando vengono arrestati dei
compagni?
Su questo dobbiamo cominciare a discutere. Da parte mia penso
che lo sciopero di solidarietà con i compagni arrestati sia un obiettivo che
tutti i gruppi operai devono perseguire, ma finché gli operai non avranno
coscienza della lotta contro lo sfruttamento e dei loro interessi di classe
questo obiettivo salvo casi isolati sarà da realizzare. Bisogna partire da
questa realtà, altrimenti si scambia questa con i propri desideri e ciò non fa
avanzare di un millimetro l’emancipazione del proletariato.
Sul ruolo delle OCC (Organizzazioni Comuniste
Combattenti) in fabbrica
Noi, come tutti i compagni che in
questi anni si sono opposti alla linea dei sacrifici, siamo sempre stati
considerati probabili terroristi o fiancheggiatori, e di tentativi di
incastrarci ne sono stati fatti molti, anche se finora, fortunatamente per noi,
sono sempre falliti. Ma quando gli operai stanno facendo i primi passi nella
lotta su questioni economiche, sulla difesa elementare dei loro interessi,
pensare che una serie di azioni, o meglio l’uso che di queste fa l’avversario di
classe, non creino disorientamento, non creino problemi, significa non capire
niente della dinamica della lotta di classe.Infatti, mentre eravamo in lotta,
quasi giornalmente venivano trovati volantini BR (sempre uguali) nel reparto,
nello spogliatoio del reparto, sotto le panchine dell’assemblea, davanti alle
cabine dove lavoravamo, con una insistenza tale che non sapevamo più se erano le
BR o qualcuno del PCI che usava questi fatti per farci passare come brigatisti,
preparando la strada all’intervento poliziesco. E questo ha pesato negativamente
sulla lotta, altro che balle.
Un’ultima questione sulle proposte uscite dal
dibattito
Penso che la proposta sull’amnistia sia una proposta
riformista che disorienta il movimento di solidarietà con i compagni in galera,
che serve solo a creare illusioni in alcuni settori del
movimento
rivoluzionario sostenendo l’idea che è possibile già oggi la
liberazione dei compagni imprigionati (di tutti naturalmente, non del singolo
compagno) senza la conquista del potere politico.
Convegno del
30-31.5.1981 sulla repressione tenuto alla Palazzina Liberty di
Milano
(Lettera pubblicata sul giornale “Operai contro” - Febbraio
1983)
BREDA Fucine: 31 operai della
Forgia rifiutano la tessera del sindacato
Da oltre due anni è
stata sospesa la tessera sindacale a due compagni del Gruppo Operaio Breda
Fucine.
Pubblichiamo la lettera che gli operai di un reparto della Breda
Fucine di Sesto San Giovanni hanno consegnato al CdF e alla FLM nel mese di
maggio assieme alle loro 31 tessere. Tralasciamo i cognomi delle persone citate,
come espressamente richiesto nella lettera inviataci.
“In questi giorni
sono state consegnate agli iscritti al sindacato della Breda Fucine le nuove
tessere del 1983 con esclusione di due operai: Michele M. e Antonio A. Su di
essi pende da oltre due anni una proposta di sanzione disciplinare da parte del
CdF sulla quale la segreteria FLM non si è ancora pronunciata.
Nel frattempo
ai suddetti operai è stata sospesa la tessera, ma non il pagamento della quota
che viene regolarmente trattenuta. I firmatari della presente ritengono
inaccettabile il protrarsi di tale ambiguità e sollecitano una posizione
definitiva sulla intera questione, anche sulla base delle seguenti
considerazioni:
1) Le motivazioni del CdF precedente risultano non solo
imprecise, ma anche offensive, nella loro gravità, sia verso i due operai, sia
nei confronti di coloro che li hanno eletti a rappresentarne gli interessi nel
reparto. Infatti dopo la decisione e i pesanti giudizi espressi dal CdF non solo
Michele M. veniva rieletto, ma lo stesso Antonio A. risultava eletto, per la
prima volta, delegato nel reparto Torneria.
Evidentemente l’affrettato e
pesante giudizio espresso dal precedente CdF, “indegnità morale di appartenere
alla FLM”, non è condiviso dagli operai che hanno scelto di farsi rappresentare
nei propri interessi da questi compagni, esprimendo così una diversa valutazione
della moralità di classe. Cosi non è avvenuto per il personaggio che ha
sollevato le pretestuose accuse contro i due operai, l’ex delegato Piero B., che
ha scelto la strada del disimpegno, dimettendosi dal CdF per “motivi
personali”.
2) In cosa consistono le accuse mosse da questo individuo,
che hanno portato alla decisione del CdF? È noto come, per anni, in concomitanza
con le più roboanti azioni di terrorismo certe forze politiche abbiano cercato
di strumentalizzare tale fenomeno per isolare e mettere a tacere, come
fiancheggiatori del terrorismo, una serie di posizioni critiche verso la
politica dei sacrifici e la svendita degli interessi operai. Piero B., in
particolare, nel corso di un convegno contro il terrorismo, lanciava pretestuose
accuse contro Michele M., reo di non aver sottoscritto un documento del CdF che
azzardava una serie di analisi su tale fenomeno, insinuando addirittura
possibili convivenze. La comprensibile reazione dell’interessato veniva poi
completamente stravolta, col chiaro scopo di accreditargli tendenza alla
violenza: “assalire... con ingiurie il portavoce del CdF... e minacciandolo di
fare poi i conti... “. Così il documento del CdF riporta una frase che invece
era: “I conti politici li faremo in fabbrica tra gli operai”.
Ugualmente
venivano stravolti, i commenti sull’accaduto espressi nel reparto dall’operaio
Antonio A. di fronte a numerosi testimoni, che veniva così accomunato al Michele
M. nella proposta di allontanamento dall’FLM. Bisogna inoltre ricordare che il
documento del CdF sul terrorismo e la proposta disciplinare contro i due operai,
è stata invece sottoscritta anche da un delegato allineato su tutte le scelte
del CdF, e poi arrestato come appartenente alle B.R.
Sulla base di queste
considerazioni, i seguenti operai esprimono la piena fiducia e solidarietà verso
i compagni di lavoro che si sono sempre battuti in difesa dei loro interessi e
considerano il tentativo di estrometterli dal sindacato come una estromissione
delle loro stesse posizioni. Perciò a1legano alla presente le rispettive tessere
sindacali finché il provvedimento non sarà revocato.”.
Cronaca di una lotta di reparto alla
Breda
(Articolo pubblicato sulla rivista “Operai e teoria” del
luglio 1981)
La lotta per le 280 lire attraverso i volantini e i manifesti
inviatici dal Gruppo di operai
Breda
Fucine-Forgia: un reparto di provocatori
Come una semplice
lotta sulla nocività scatena contro gli operai la direzione, il consiglio di
fanbbrica e la repressione dello stato.
A
cura di M.M.
Pubblichiamo con brevi cenni di cronaca i
volantini e le mozioni di una lotta in un reparto della Breda Fucine.
Sicuramente questi documenti chiariscono, meglio dei soliti commenti o bilanci,
i contenuti e l’andamento contraddittorio della lotta di fabbrica in questa
fase. In questi anni relativamente pacifici, nonostante i clamori delle diverse
frange sociali e le loro velleità armate, i centri vitali del capitale non solo
hanno continuato a funzionare ma sono stati fortificati; una fitta rete di
controllo è stata tesa nelle più importanti fabbriche per prevenire e soffocare
qualsiasi pericolo di insorgenza operaia.
Stratificato in vere e proprie
classi, il comando di fabbrica è stato perfezionato per tenere gli operai
inchiodati alle macchine, sottometterli e disciplinarli ai piani produttivi,
estorcerne il massimo plusvalore. Ma la costrizione del capitale non basta. Alle
rigide regole del profitto bisogna affiancare la persuasione, agire all’interno
degli operai tramite finti operai che ne conoscano tutte le contraddizioni e le
debolezze, agire su queste per deviare e riassorbire qualsiasi tentativo di
lotta indipendente.
L’aristocrazia operaia e i suoi rappresentanti più
politicizzati nei CdF e negli apparati sindacali assolvono a questo compito con
la perseveranza che deriva dall’esigenza di difendere i propri interessi: la
spartizione degli avanzi di plusvalore estorto agli operai.
Ma con la crisi
che avanza i loro argomenti risultano sempre meno convincenti: sacrifici,
produttività, licenziamenti, riduzione del salario. Il massimalismo riformista
ha poco spazio quando si dimostra che “la salvezza dell’economia nazionale”
passa attraverso la rovina degli operai. Neppure le nuove leve riescono a
rivitalizzarne le tematiche.
Ripescati tra i resti disciolti degli ex
rivoluzionari (LC, MLS, ecc.), rivalutato il loro ruolo di ex contestatori e
accolte le tiepide critiche al sindacato che hanno dato loro una certa fama di
sinistri tra gli operai, questi elementi sono accolti negli esecutivi dei CdF
per riverniciarne le insegne logore.
Quasi tutti i volantini del CdF qui
pubblicati sono partiti da queste teste d’uovo.
E’ in questa situazione che
gruppi di operai delle lavorazioni più dure e nocive, gli strati più sfruttati
della classe, cominciano a muovere i primi passi. Operai senza storia, senza
organizzazione, senza teoria, spinti soltanto da interessi materiali che la
crisi ha suscitato.
“La salute non si vende” afferma il CdF; “la salute
non si paga” fa eco la direzione. “La vostra lotta non è pura, i sacri principi
non contemplano l’indennità 5” afferma Lotta Comunista. “Per lottare contro la
nocività dovete arruolarvi nei gruppi armati” proclamano i rappresentanti del
“vero partito”.
Operai che siano riusciti ad attraversare tutti questi
ostacoli, potranno ben costituirsi in classe!
Inizia la lotta
Gli operai della
Forgia (magli, presse, trafila) si riuniscono in una prima assemblea il 20.1.81
durante la pausa di mensa; dopo una fitta discussione sulla questione della
nocività del reparto e della inconsistenza del salario decidono di uscire con un
ordine del giorno da affiggere nei reparti.
Mozione approvata all’unanimità dagli operai della
Forgia riuniti in assemblea il 20.1.1981
Gli operai del reparto
Forgia (magli, presse, trafila) riuniti in assemblea, dopo ampio dibattito,
hanno rilevato che:
1) in Forgia la lotta alla nocività è uno dei
principali obiettivi, ma nonostante alcuni cambiamenti le condizioni di lavoro
nel loro complesso non sono affatto mutate;
2) la necessità ci costringe a
lavorare in un reparto che sicuramente è il più nocivo di tutta la fabbrica con
lavorazioni particolari; siamo esposti al caldo, agli sbalzi di temperatura,
alle vibrazioni, al fumo e a decine di altri disagi, alcuni dei quali si possono
ridurre ma non eliminare (es. caldo, rumore, ecc.);
3) l’indennità 5,
bloccata ormai da anni, non è più adeguata al salario, e ciò è di fatto una
riduzione di questo istituto;
4) la salute non si paga, ma ciò non vuol dire
che il rapporto tra indennità e salario debba diminuire come di fatto è
avvenuto;
5) pertanto i suddetti lavoratori chiedono al CdF di farsi
interprete delle loro esigenze verso la direzione, aprendo una trattativa per
adeguare l”indennità 5 in rapporto al salario attuale nella cifra di lire 280
orarie.
Questa mozione viene consegnata al CdF il 21.1.81 con richiesta
da parte del delegato del gruppo omogeneo di porla all’ordine del giorno nella
prossima riunione.
Dopo alcuni giorni (il 27.1.81) il CdF, in una lunga
riunione, discute la mozione degli operai della Forgia (magli, presse, trafila)
e si pronuncia contro la richiesta dell’adeguamento con un solo voto contrario,
quello del delegato del gruppo omogeneo. Accoglie però la proposta di
un’assemblea e decide che questa non sia limitata agli operai che hanno
presentato la richiesta (cioè a quelli che lavorano “a caldo”), ma sia aperta a
tutti e tre i gruppi omogenei della Forgia (segantini e molatori). Il giorno
dopo si tiene l’assemblea retribuita stabilita dal CdF: quest’ultimo si schiera
apertamente contro la richiesta, nonostante che la maggioranza dell’assemblea,
con moltissimi interventi, ribadisca la necessità di adeguare l’indennità.
L’assemblea si conclude nella più grande confusione con duri scontri e insulti
tra delegati e operai.
Il 30.1, approfittando della pausa di mensa del turno
normale, si svolge un’assemblea di bilancio e dopo un’ampia discussione viene
approvato il seguente comunicato.
Comunicato approvato dall’assemblea degli operai della
Forgia (magli, presse, trafila) di venerdì 30.1.81, con un solo voto
contrario
Il 21.1.81 s è tenuta in Forgia, presente tutto il CdF,
l’assemblea degli operai del reparto, per discutere l’adeguamento dell’indennità
5.
Il CdF in questa assemblea si è schierato contro la richiesta della
maggioranza degli operai di adeguare l’indennità 5 - ferma dal 1969 - al salario
attuale percepito, dimostrando ai presente qual’è la sua concezione della
democrazia. Su un’ora di assemblea programmata, tre quarti d’ora il CdF li ha
usati per spiegare che non era d’accordo, tanto che - per potersi esprimere -
gli operai hanno dovuto prolungare l’assemblea con mezz’ora di
sciopero.
A parte gli atteggiamenti provocatori dell’esponente
dell’esecutivo incaricato di tenere la relazione del CdF, che ha più volte
minacciato di andarsene davanti alle contestazioni che gli facevano gli operai
che intervenivano, le motivazioni del rifiuto del CdF di farsi carico di questa
richiesta si possono riassumere nelle seguenti posizioni:
1) la salute non si
paga e chiedere l’adeguamento dell’indennità 5 significa chiedere l’adeguamento
dell’indennità di morte;
2) questo onere economico (280 lire orarie
rivendicato per 50 persone) potrebbe portare l’azienda a chiudere la
Forgia.
Ora su queste posizioni il CdF, visto fallito il tentativo di
convincere gli operai della Forgia, cerca di schierare gli operai degli altri
reparti nel tentativo di isolarci, facendoci comparire come
corporativi.
Così, oltre alla direzione, abbiamo contro anche i “nostri
rappresentanti”.
Ma la falsità delle argomentazioni sostenute dal CdF è
facilmente dimostrabile:
1) nella pratica, non con le chiacchiere ma con le
lotte per far mettere gli aspiratori, per migliorare l’ambiente di lavoro,
abbiamo dimostrato che per noi la lotta alla nocività è uno dei principali
obiettivi, per cui abbiamo lottato in prima persona, e le 280 lire richieste per
noi sono l’adeguamento di questo istituto, e non il prezzo con cui barattare la
nostra salute;
2) che l’azienda possa chiudere la Forgia solo perché
rivendichiamo l’adeguamento di un istituto ormai inadeguato, oltre che un
ricatto e una minaccia, è un preciso suggerimento che il CdF fa alla
direzione.
Inoltre, non si vede perché l’azienda possa spendere centinaia di
milioni all’anno - senza pericolo di chiusura - per la “pasqualina” dei capi,
degli impiegati e dei dirigenti, e invece rischi la chiusura per pochi milioni
(una decina all’anno) per adeguare il salario di chi effettivamente
produce.
Operai della Fucine, la nostra lotta non è corporativa, ma è una
lotta per la difesa dei nostri interessi. E’ una lotta che apre prospettive per
tutti gli altri lavoratori e il tentativo di mettere gli operai degli altri
reparti contro quelli della Forgia è utile solo alla direzione.
Questo
comunicato viene diffuso in tutti i reparti e in mensa da quattro squadre di
operai.
Il giorno 6.2.81 l’esecutivo del CdF esce con un comunicato in cui
attacca gli operai in lotta ed il delegato.
Chiamiamo le cose con il loro giusto
nome!
Il reparto “Forgia” ed in particolare il gruppo
“Magli-Presse-Trafile” ha aperto un problema di rinnovo di una indennità di
reparto.
Poiché in fabbrica è apparso un comunicato approvato in una
assemblea fuori orario di lavoro, tenuta dal delegato di reparto, in cui si
esprimono pesanti giudizi sull’operato del Sindacato e del C.d.F., riteniamo
opportuno chiarire quanto segue:
1) La situazione economica del nostro Paese ed in
particolare la pesante inflazione creano grossi problemi di difesa del potere di
acquisto delle paghe e dei salari. In questo senso, quello di difendere il
potere di acquisto dei lavoratori, il Sindacato ha conquistato nel periodo
luglio ‘79-febbraio ’81:
a - aumento CCNL medio di L. 43.000 mensili
b -
contingenza: L. 136.173 mensili
c - accordo aziendale medio di L. 45.000
mensili
Su tali importanti livelli di recupero, gioca un ruolo fortemente
negativo il crescente aumento delle trattenute fiscali. Oggi il movimento
sindacale ritiene indispensabili due livelli di intervento:
a) la conclusione
della vertenza con il Governo per:
- modificare le percentuali di trattenute
fiscali e dei valori delle detrazioni
- stabilire un sistema più efficace di
tutela dei redditi familiari;
b) la preparazione della piattaforma dei
contratti nazionali di lavoro e quindi i valori e i criteri anche delle
richieste salariali.
Riteniamo quindi ingiusto nascondersi dietro altri
problemi quali quello della nocività per rivendicare
aumenti salariali,
anziché chiamare le cose con il loro giusto nome:
DIFESA DEL POTERE
D’ACQUISTO
e pertanto le lotte e le attese dei lavoratori vanno
indirizzate nella giusta direzione.
2) Le lotte per migliorare l’ambiente di
lavoro sono state, dal ’69 in poi, un punto centrale dell’azione del Sindacato e
del C.d.F. della BREDA Fucine; la coerenza e la linearità di comportamento, da
quel periodo in avanti, ha permesso di conquistare elementi che in precedenza
erano risolti a qualche lira con la quale veniva ripagata la perdita della
salute ed in molti casi la morte prematura.
Vale la pena di ricordare le
conquiste più importanti:
- investimenti per il risanamento ambientale
-
pause per ridurre l’esposizione dei lavoratori alle nocività (calore- rumore
-ecc.) e quindi per ridurre la quantità di ore di lavoro
- riduzione
dell’orario di lavoro per ridurre il tempo totale di permanenza in fabbrica e
nel reparto.
La coerenza è indispensabile se si vogliono fare avanzare le
nostre conquiste; dal luglio di quest’anno, i lavoratori della Forgia delle
Fucine, primi in Italia, lavoreranno per quattro settimane 30 ore settimanali
invece di 40, mantenendo integro il salario.
Da questa fruttuosa strada non
intendiamo tornare indietro.
3) Coerenza: abbiamo ripetuto più volte che
è necessaria chiarezza, linearità e coerenza per non far sprecare lotte,
energie, salari ed entusiasmi inutilmente ai lavoratori.
Non ci sembra di
trovare questi attributi nelle azioni del Delegato dei Magli-Presse-Trafile.
Infatti, il Sindacato, il Consiglio di Fabbrica ed il Delegato stesso, hanno
definito con i lavoratori le richieste per la piattaforma aziendale e con la
partecipazione del menzionato Delegato hanno condotto le trattative senza mai
sentirlo evidenziare elementi di dissenso, contrattando tra l’altro (ma forse
era distratto) il superamento della “pasqualina” proprio per una maggior
giustizia ed unità dei lavoratori.
Fuori da ogni polemica, vogliamo
invitare inoltre lo stesso Delegato ad una rilettura più attenta dei numerosi
accordi sull’ambiente di lavoro in Forgia da cui, ne siamo certi, troverà
materia per continuare la battaglia “per non barattare la salute” ogni volta che
la Direzione, e questo è già capitato, cerca di non rispettarli.
Tutta la
Fabbrica, nelle prossime settimane, contribuirà attraverso le “Assemblee di
reparto” e “Generale”, a definire le linee di azione del Sindacato.
Sesto S.
Giovanni, 6 febbraio 1981.
Si apre un dibattito nel reparto e in tutta la
fabbrica sul comunicato dell’esecutivo: nel frattempo l’assemblea degli operai
dei lavori a caldo (magli, presse, trafile), che aveva dato mandato al delegato
di presentare la richiesta al capo del personale, attende che si svolga
l’incontro.
Il giorno 13.2.81 si decide l’assemblea: dopo aver ascoltato il
resoconto del delegato sull’incontro con il capo del personale, gli operai
decidono un programma di lotta ed i presenti approvano all’unanimità il seguente
comunicato, raccogliendo 18 mila lire per ciclostilarlo.
Mozione approvata all’unanimità nell’assemblea della
Forgia Magli Presse Trafila del 13.2.81
Qual’è il vero
nome!
L’esecutivo del CdF dopo essersi schierato contro la
maggioranza nell’assemblea della Forgia (magli presse trafila segantini
molatura), e senza aver informato sull’andamento di tale assemblea il resto
della fabbrica, si è però affrettato a rispondere con un attacco al comunicato
approvato nella successiva assemblea di reparto.
In questo modo l’esecutivo
non intende certo convincere gli operai della Forgia, di cui conosce bene la
posizione, ma spargere dubbi fra gli operai degli altri reparti sulla giustezza
della nostra lotta. Questo grave tentativo di isolamento viene giustificato col
proposito di “chiamare le cose col loro giusto nome”. Vediamole.
Al punto
1) l’esecutivo ci ricorda che in tre anni tra contingenza, contratto nazionale e
aziendale abbiamo conquistato ben 214.173 lire mensili. La cifra in entrata è
specificata fino ai centesimi, quella in uscita invece viene definita con alcuni
fumosi aggettivi “ruolo fortemente negativo .... delle trattenute fiscali”. E’
un bel sistema per fare i conti, lo stesso che usano governo e Confindustria per
ridurci il salario. Ci rinfacciano quanto ci viene concesso per sopravvivere
(gonfiando anche le cifre) ma nascondono quanto ci viene rubato con trattenute,
aumento dei prezzi, stangate governative e soprattutto attraverso lo
sfruttamento in fabbrica. Ma oggi nessuno può più negare l’impoverimento reale
degli operai (e ciò è risultato ben evidente anche nell’ultima assemblea
generale), per questo l’esecutivo si affretta a ricordarci la strategia del
recupero con:
1) la cosiddetta vertenza sulle “percentuali fiscali”,
senza però dire che questa è impostata solo per “non appiattire i salari” ovvero
per premiare la professionalità e allargare ancora le distanze tra gli strati
alti, dirigenti, capi, ecc., dagli operai (senza parlare del nuovo furto del
5%);
2) un sistema “più efficace di tutela dei redditi”, senza però dire che
questo è un modo originale di definire l’attacco alla scala mobile già ventilato
dal governo e dai vari burocrati sindacali;
3) la definizione della nuova
piattaforma nazionale, senza però ricordare che questa è sempre vincolata alla
politica dei sacrifici. I risultati delle precedenti li abbiamo già
sperimentati. Dovevano servire ad aumentare l’occupazione ed invece sono
aumentati solo i profitti padronali. Dopo essere stati costretti ai sacrifici,
migliaia di operai delle principali fabbriche oggi vengono buttati per strada,
mentre il nostro salario si riduce sempre di più.
E’ un bel modo di
chiamare le cose col giusto nome!
Questo comunicato viene distribuito in
mensa il giorno 16.2.81 da quattro squadre di operai su tutti i
turni.
Martedì 17.2.81 dalle ore 8.30 alle ore 9.00 avviene il primo
sciopero. Su 7 impianti del gruppo omogeneo ne funzionano 3, grazie al
fatto
che spostano i crumiri formando squadre nuove. Su 45 operai delle lavorazioni a
caldo gli scioperanti sono 31, 14 i crumiri.
La reazione della direzione
è immediata. Convoca tutto il CdF a cui chiede conto dei motivi della lotta.
Durante l’incontro il CdF si dissocia
dalla lotta, scaricando sugli operai e
sul delegato presente all’incontro la responsabilità. Il discorso del capo del
personale si può
riassumere così:
1)il CdF non mi ha presentato alcuna
richiesta;
2)il delegato del gruppo omogeneo ha fatto quindi una richiesta a
titolo individuale, come rappresentante degli operai, ma non a nome del CdF, per
cui prendiamo atto della sconfessione del CdF;
3)quanto alla richiesta,
quello che dovevamo spendere lo abbiamo speso nel contratto aziendale firmato
nel luglio dell’80, per cui non abbiamo più disponibilità
economiche;
4)condividiamo in pieno la posizione del CdF, “la salute non si
vende”, ed è su questo principio che definiamo gli investimenti nel
reparto.
Il 19.2.81 avviene il 2° sciopero stabilito e il giorno 20.2.81
si tiene nuovamente l’assemblea per fare il punto della situazione. Il 24 e il
26.2.81 si tengono gli altri scioperi stabiliti.
Nel frattempo, davanti alla
tirata d’orecchi della direzione , il CdF usa i militanti del PCI, alcuni
capisquadra ed alcuni delegati per organizzare il crumiraggio su alcuni magli,
formando squadre miste. Il 27.2.81, durante l’ora di mensa, si tiene l’assemblea
(presente un membro dell’esecutivo). Viene denunciato il ruolo anti-operaio
dell’esecutivo e gli operai si pronunciano per la continuazione della lotta
dando nuovamente mandato a una delegazione di ricercare un incontro con la
direzione.
Il giorno 5.3.81 una delegazione di 3 operai viene ricevuta
dalla direzione ed espone nuovamente le richieste. La risposta è la seguente: se
trovate una mediazione con il CdF, se cioè la richiesta viene dai
“rappresentanti dei lavoratori” possiamo trattare, altrimenti niente da
fare.
Si sciopera contro il CdF per la
prima volta alla Breda
Il giorno dopo, venerdì 6.3.81, in
assemblea con sciopero di un’ora, dalle 8.30 alle 9.30, la delegazione
incontratasi con la direzione fa un rapporto sull’incontro. Dopo ampio dibattito
l’assemblea degli scioperanti decide di mandare una delegazione di massa
all’esecutivo
perché cambi atteggiamento sulla lotta.
Su mandato
dell’assemblea, lunedì 9.3.81 una delegazione di 10 operai si reca negli uffici
dell’esecutivo. Il discorso della delegazione, più o meno, è il seguente:
“Secondo la direzione l’unico ostacolo alla trattativa siete voi, per cui se
decidete di opporvi ancora alla richiesta ci saranno scioperi di protesta contro
di voi, in quanto vi state ponendo come altra controparte”. L’esecutivo,
imbarazzato, assicura che presenterà ufficialmente la richiesta per dimostrare
che l’ostacolo è solo la direzione e su questa assicurazione la delegazione
torna nel reparto a riferire agli altri operai.
Mercoledì 11.3.81 una
delegazione di 4 operai eletti dall’assemblea e 2 rappresentanti dell’esecutivo
si incontrano con la direzione. Davanti alla timida apertura manifestata dalla
direzione sulla possibilità di una trattativa, l’esecutivo - con un repentino
voltafaccia - ribadisce nuovamente di essere contro la lotta. Risultato: la
direzione risponde nuovamente picche.
La delegazione degli operai in
lotta decide di fare un comunicato dichiarando un’ora di sciopero con assemblea
per il giorno dopo, per informare gli operai sull’esito dell’incontro.
A
questa assemblea si presenta anche un membro dell’esecutivo, presente
all’incontro con la direzione, che - dopo aver sentito la relazione della
delegazione - interviene dando le sue spiegazioni: prima viene invitato dagli
operai ad andarsene e poi viene espulso dall’assemblea che decide, con un voto
di astensione, di effettuare uno sciopero di protesta contro il comune
atteggiamento della direzione e del CdF per mercoledì 18.3.81.
Il giorno
fissato, dalle ore 8.30 alle ore 9.30, si effettua lo sciopero e squadre di
operai girano per i raparti affiggendo e distribuendo un comunicato approvato
dall’assemblea.
Gli operai della
Fucine reparto Forgia denunciano a tutta la fabbrica e all’opinione
pubblica
Dopo oltre un mese di lotta la Direzione ha concesso un
incontro per discutere le richieste avanzate dal reparto, contro la nocività e
per la rivalutazione dell’indennità 5 bloccata da 12 anni. La Direzione aveva
sempre rifiutato di entrare nel merito della trattativa se a presentare
ufficialmente la richiesta non fosse stato il CdF, mentre questo organismo
rifiutava categoricamente di farlo. La situazione si sbloccava solo quando una
folta delegazione di operai della Forgia si presentava negli uffici del CdF
minacciando di scioperare contro di esso.
Ma durante l’incontro con la
direzione, cui partecipavano due membri dell’esecutivo e una delegazione del
reparto composta da quattro operai, il CdF non solo si guardava bene dal
sostenere le richieste, ma si scagliava contro ogni possibilità di intesa
minacciando, nel caso le richieste della Forgia fossero state accolte , di
aprire una vertenza su tutte le indennità della fabbrica. Questo atteggiamento
ricattatorio e strumentale (il CdF non ha nessuna intenzione di rivalutare
alcuna indennità) dava modo alla direzione di fare marcia indietro anche sui
timidi accenni di apertura che si erano prospettati. Così CdF e padronato si
sono trovati perfettamente d’accordo nel respingere le nostre richieste,
entrambi spinti da nobili principi.
La salute non si vende! afferma il
CdF. La salute non si paga! risponde in coro la direzione. Il fatto però che la
nostra salute si consuma quotidianamente in un reparto dove il lavoro è il più
pesante e nocivo della fabbrica, e che questo consumo è sottopagato non commuove
i nostri filantropi. Il capannone non sarà alzato, fumo, calore, rumore
continueranno a rovinarci la salute, ma l’importante è che il sacro principio
sia salvo. Un aumento di 280 lire l’ora rovina la salute agli operai che
lavorano per 500.000 lire al mese. Ai parlamentari invece questo non succede,
500.000 lire è l’ultimo aumento mensile che si sono concessi come indennità da
aggiungere ai due milioni e mezzo che già percepivano.
Il ruolo assunto
dal CdF in questo incontro non è un fatto isolato e dimostra come si attuano in
pratica i famosi discorsi di Lama e Berlinguer sulla democrazia sindacale in un
Consiglio tenuto in mano dal PCI. Infatti:
1) nonostante la richiesta fosse
presentata dalla stragrande maggioranza del reparto con votazione in assemblea,
il CdF si schierava contro dimostrando quanto contano le decisioni degli
operai;
2) quando abbiamo deciso di far partire ugualmente la lotta, il CdF
usciva con un volantino di condanna per isolarci dal resto della fabbrica,
cercando di metterci contro gli altri reparti, spargendo la voce che siamo per
la monetizzazione della salute e non per il risanamento dell’azienda;
3)
prima di ogni sciopero si è cercato di convincere individualmente gli operai a
desistere sguinzagliando alcuni delegati e gli iscritti al PCI in una aperta
opera di crumiraggio;
4) dopo un mese di lotta il CdF rifiuta ancora di
prendere qualsiasi impegno anche per il futuro, come l’inserire il problema
dentro la prossima piattaforma contrattuale.
Per questo insieme di motivi
gli operai della Forgia riuniti in assemblea con sciopero il 12.3.81, presente
un membro dell’esecutivo, decidono:
1) la denuncia pubblica
dell’atteggiamento del CdF anche alla stampa;
2) uno sciopero di 1 ora da
effettuarsi mercoledì 18 per protesta contro il comune atteggiamento del CdF e
della direzione.
Chiediamo agli operai della Breda Fucine di sostenere
ancora gli operai della Forgia in lotta e solidarietà da parte degli operai
delle altre fabbriche.
Comunicato
deciso dall’assemblea (con un astenuto) degli operai della Forgia in
lotta.
A questo punto Lotta Comunista (2 operai), attaccati
nella precedente assemblea perché contrari allo sciopero (il sindacato è pur
sempre un’organizzazione degli operai), decidono di tirarsi
indietro.
Rimangono in fabbrica chiedendo un’ora di permesso. Da questo
momento Lotta Comunista non partecipa più agli scioperi e alle assemblee.
E’
il primo cedimento sul fronte della lotta. In seguito cedono anche alcuni operai
che non vedono possibilità d sbocco.
Cogliendo al volo la situazione il CdF
con un comunicato decide di indire un’assemblea di tutti i gruppi omogenei sotto
il tetto del vecchio
capannone della Forgia.
Lo scopo di questa
assemblea è chiaro: cercare di metterci in minoranza rispetto agli operai degli
altri gruppi omogenei, prendendo a
pretesto lo sciopero effettuato contro il
CdF. Fra gli operai delle lavorazioni a caldo la cosa non è molto chiara,
infatti alcuni scioperanti decidono di non partecipare all’assemblea, anche se
la maggioranza è presente. L’assemblea, tenuta da un funzionario di zona della
FLM, dura quasi due ore e mezza e alla fine viene votata la seguente mozione di
sostegno alla linea sindacale.
Mozione
approvata dall’assemblea del reparto Forgia
I lavoratori del
reparto Forgia riuniti in assemblea per valutare la situazione determinatasi nel
reparto stesso hanno approvato il seguente documento:
1. La situazione
politica ed economica e gli stessi gravi provvedimenti di politica economica
recentemente approvati rischiano di aggravare le condizioni economiche e di
difesa del potere di acquisto di grandi masse di lavoratori, di pensionati,
ecc.
2. In questo contesto la forza dei lavoratori organizzati deve essere
utilizzata per imporre, per conquistare
livelli di difesa e di crescita delle
condizioni di vita e di lavoro nella fabbrica e nella società.
E’ per questo
che è necessario in questo momento evitare di frantumarsi in mille piccole
situazioni,
ognuna delle quali si ancori ad una situazione (nocività, ecc.)
particolare per realizzare invece momenti
di lotta generalizzata capaci di
difendere l’occupazione ed il potere di acquisto dei lavoratori.
Ancora
una volta occorre con chiarezza chiamare le cose per nome
LOTTA ALLA NOCIVITA’
Da un lato c’è
la lotta alla nocività con le sue coerenze, la sua gradualità, ma comunque
sempre centrata ad evitare che i lavoratori siano esposti al rischio, si
ammalino, ottenendo pause, riduzioni della durata del lavoro, investimenti per i
miglioramenti ambientali.
LOTTA PER
DIFENDERE IL POTERE DI ACQUISTO
D’altra parte invece c’è la
necessità di continuare la lotta per difendere il potere d’acquisto dei
lavoratori attraverso:
- i rinnovi contrattuali nazionali
- i rinnovi
contrattuali aziendali
- la contingenza
- il peso dell’imposizione
fiscale.
In questo contesto, per quanto concerne la difesa del potere
d’acquisto, si rivendica una più incisiva azione unitaria di tutto il movimento
sindacale, sia per quanto concerne la politica economica governativa, in
particolare a partire dall’imposizione fiscale, sia per ciò che riguarda la
preparazione della piattaforma per i prossimi rinnovi contrattuali.
Per
l’ambiente, la nocività, la salute si ribadisce la centralità di una lotta che
riduca l’esposizione al rischio e che crei le condizioni per non ammalarsi, che
pretenda l’applicazione e il miglioramento degli accordi, il risanamento
ambientale, che esiga l’applicazione della riduzione d’orario e la sua graduale
estensione.
Votazione: a favore 49, contrari 24, astenuti
4.
23-3-81
Esecutivo del Consiglio di
Fabbrica
Questa mozione ha solo lo scopo di isolare gli operai
del gruppo omogeneo (magli-presse-trafila); la sua genericità e il fatto che non
si contrapponga apertamente alla lotta è significativo. Dopo alcuni giorni di
dibattito nel reparto e in tutta la fabbrica, venerdì 27.3.81 si decide un’altra
ora di sciopero con assemblea in cui viene stilato e approvato il seguente
comunicato.
Ancora manovre contro gli
operai in lotta
Il CdF della Breda F., per rispondere allo
sciopero di protesta e recuperare consensi, ha organizzato un’assemblea con il
chiaro intento di isolare gli operai in lotta della Forgia; allo scopo sono
stati convocati anche i gruppi omogenei “Segantini e Molatori” che non sono
interessati alle lavorazioni a caldo; sono separati anche fisicamente dalla
Forgia con un pannello divisorio, non sono quindi interessati all’indennità
5.
Ma il C.d.F. non aveva alcuna intenzione di affrontare questo
problema. Servivano solo un po’ di voti in più per mettere in minoranza gli
operai in lotta e approvare una mozione da contrapporre alle loro richieste.
Infatti nonostante che le richieste e i voti dei diretti interessati alle
lavorazioni a caldo fossero ancora la maggioranza, la mozione è passata (anche
con il contributo qualificate dei due capi). E’ ancora il sistema per mettere
gli operai l’uno contro l’altro e colpirli entrambi.
Infatti, cosa si afferma
in questa mozione? Quelli che l’hanno approvata dopo averla sentita appena
leggere velocemente in assemblea, farebbero bene a rileggerla con più
attenzione. In essa non troveranno niente che possa riferirsi ad una reale
difesa degli operai e sorvola senza rispondere ai precedenti argomenti espressi
nei comunicati della Forgia.
Al punto
1) ci ricorda che le stangate governative rischiano di aggravare le
nostre condizioni. Ci vuole una bella faccia tosta, dopo che per anni proprio il
sindacato è stato il più accanito sostenitore della politica dei sacrifici,
costringendoci all’attuale situazione di miseria. Ma si sa, il rischio è dovuto
alla mancanza di una seria programmazione delle stangate da concordarsi col
sindacato.
Al punto 2) il
C.d.F. ci richiama all’ordine ricordandoci che “la lotta generalizzata” è meglio
di quella “frantumata”. E’ una bella scoperta! Se siamo costretti a dure lotte
nei reparti è proprio perché non esiste una lotta generale sugli interessi
operai. La cosiddetta lotta per l’occupazione, la difesa del potere d’acquisto,
ecc., ha dimostrato pienamente i suoi scopi e i suoi risultati: non solo non è
aumentata l’occupazione, si licenzia proprio nelle grandi fabbriche, i sacrifici
li abbiamo fatti solo per accrescere i profitti dei padroni e spianare la strada
al potere del PCI e dei burocrati sindacali, mentre il potere d’acquisto esiste
solo per chi ha potuto concedersi forti aumenti (vedi magistrati, parlamentari,
ecc.).
Ma i nostri sindacalisti sono diventati maestri nel far
dimenticare ciò che promettevano ieri, contrapporsi a ciò che richiediamo oggi,
per promettere tante belle conquiste per domani. Così, mentre con la direzione
si cerca di stroncare la lotta nel reparto contro la nocività e per il
riadeguamento dell’indennità 5, si promette ancora per il futuro:
“riduzione
della durata del lavoro”, sia ben chiaro durata, non intensità! Infatti la
produttività resta obiettivo centrale del sindacato; alla trafila già si parla
di aumentare i pezzi giornalieri, come già avvenuto alle aste;
“contratti
nazionali e aziendali”, quando tutti sanno che restano vincolati alla salvezza
dell’economia padronale e quindi si tratta ancora di contenimento
salariale;
“contingenza”, proprio mentre governo e sindacato stanno cercando
la formula più indolore per eliminarla;
“imposizione fiscale” e questa è la
barzelletta finale. Doveva esser la vertenza della salvezza contrapposta alla
richiesta di forti aumenti salariali e ci troviamo una nuova trattenuta del 5% e
un salario svalutato.
Ma, soprattutto, nella mozione ci si guarda bene
dal quantificare qualsiasi obiettivo, sia sulla riduzione d’orario che sulle
pause. Potrebbero essere prese in esame e ciò fa paura. Infatti mentre si fanno
queste promesse di riduzione per il futuro, i padroni stanno già mettendo in
discussione la riduzione già acquisita. Non siamo più disposti alla difesa
futura. Vogliamo difendere i nostri interessi nel presente per prepararci a
difenderli anche nel futuro.
Venerdì,
27-3-1981
Gli operai della Forgia in lotta
contro la nocività e
sull’indennità 5
Martedì 31.3 si tiene un’altra ora di
sciopero con assemblea in cui si affrontano una serie di problemi.
Il capo di
un reparto vicino alla Forgia è stato sequestrato e legato davanti alla fabbrica
con il solito cartello. Da tempo nel reparto in lotta vengono rinvenuti quasi
quotidianamente volantini delle BR per confermare la tesi che gli operai in
lotta sono probabili terroristi. Si decide di continuare comunque la lotta per
tenere viva la protesta sulle condizioni di lavoro in Forgia.
INTERVIENE LA POLIZIA
Venerdì 3.4.81
la polizia irrompe nelle case di 13 operai: 6 sono scioperanti della Forgia (tra
cui il delegato). La reazione degli operai, seppure in un clima di forte
tensione, è immediata.
Lunedì 6.4.81 durante la pausa di mensa si riunisce
l’assemblea delle lavorazioni a caldo e, dopo il dibattito, approva il seguente
comunicato.
Perquisite le case di 13
operai
Venerdì 3 aprile, verso le 6 del mattino, decine di agenti
della polizia giudiziaria e carabinieri, su mandato di perquisizione della
Procura di Monza, armi in pugno, hanno fatto irruzione contemporaneamente nelle
case di 13 operai della Breda Fucine.
Trattati come criminali, con le armi
puntate contro, fra lo spavento dei familiari costretti ad assistere
all’insolita scena e la curiosità dei vicini, questi operai hanno visto le loro
case messe a soqquadro dagli agenti, che le hanno perquisite da cima a
fondo.
Il motivo, stando al mandato di perquisizione, è il seguente: “...
dalle indagini preliminari finora svolte emergono concreti elementi in ordine al
sequestro di Salvatore Compare, per ritenere che nelle abitazioni dei suddetti
operai possono rinvenirsi documenti di contenuto eversivo od oggetti
illegalmente detenuti o di provenienza illecita”.
Quali siano questi
“concreti elementi” naturalmente agli operai perquisiti non è stato detto, ma -
visto che tutte le perquisizioni hanno dato esito negativo - quali siano gli
“elementi concreti è facilmente immaginabile.
Chi sono infatti questi
operai?
Cinque sono della Forgia (tra cui il delegato), che è attualmente in
lotta per l’adeguamento dell’indennità 5; gli altri 4 sono del reparto Giunti
che, guarda caso, proprio in questi giorni sono scesi in lotta contro la
nocività; altri 4 sono della Torneria.
Di questi 13 la maggioranza è
costituita da operai di reparti in lotta e da una parte del Gruppo operaio della
Breda Fucine, che da anni si batte in fabbrica contro la politica dei sacrifici.
Quindi il tentativo è abbastanza scoperto: far passare come probabili terroristi
gli operai che lottano per i loro interessi; stroncare il dissenso operaio in
fabbrica contro l’aumento dello sfruttamento e la linea dei sacrifici;
intimidire chi nella lotta comincia a prendere coscienza dei propri interessi,
per mantenere il clima di pace sociale necessario all’aumento dei
profitti.
Operai della Fucine,
con l’alibi della lotta al terrorismo,
come in un disegno preordinato, si tenta di implicare gli operai che lottano per
i propri interessi nel sequestro di un capo che - tra l’altro - la maggioranza
neanche conosceva. Si cerca di creare un clima di caccia alle streghe, di far
passare per terroristi e criminali gli operai in lotta contro l’aumento dello
sfruttamento.
Tutto ciò nel tentativo di farci piegare la testa, instaurando
un clima di sospetto e paura molto utile a chi ha interesse a farci
tacere.
Non sappiamo chi ha fornito i “concreti elementi” sul conto di questi
operai. Quello che sappiamo per certo è che questa manovra fa molto comodo a chi
vuole stroncare la nostra lotta.
Per questo noi operai della Forgia
(magli, presse, trafila), mentre denunciamo l’operazione in corso, ribadiamo
pubblicamente la nostra solidaretà ai nostri compagni e a tutti gli operai
perquisiti.
Comunicato approvato
dall’assemblea
degli operai della Forgia (magli, presse,
trafila)
6.4.81
Sempre lo stesso giorno esce anche un
comunicato del CdF.
Comunicato
Venerdì 3.4.81tra le 4 e le 6
del mattino sono state sottoposte a perquisizione le abitazioni di alcuni
lavoratori della Breda Fucine; queste perquisizioni sono state messe in
relazione con le indagini sul sequestro del caporeparto S. Compare.
Nel
prendere atto che queste iniziative rientrano nei compiti che la magistratura
può e deve autonomamente assumere nella conduzione delle indagini, riteniamo
necessario ribadire la volontà del CdF e della FLM di garantire la limpidezza e
la trasparenza di ogni iniziativa , il pieno rispetto delle leggi e della
libertà individuale col preciso e coerente impegno di arrivare al più presto
alla verità sugli atti terroristici verificatisi nella nostra azienda.
Il
CdF riafferma che queste azioni non possono in nessun caso suonare come condanna
pregiudiziale nel confronti dei lavoratori interessati e sottolinea che le
divergenze e le contrapposizioni di carattere sindacale non possono e non
debbono essere intese come elementi di giudizio sui fatti che riguardano il
terrorismo.
Esecutivo del Consiglio di
Fabbrica
Nel frattempo si viene a sapere che il numero degli
operai perquisiti è intorno alla ventina, perché oltre a quelli denunciati nel
comunicato degli operai della Forgia, anche 3 militanti di Lotta Comunista e
altri operai hanno ricevuto la visita della polizia.
Le perquisizioni
riescono in parte ad intimidire. Il dibattito in fabbrica sui mandanti delle
perquisizioni continua. Ampi settori di operai in tutti i reparti li mettono in
relazione alla lotta in corso. Le tesi maggioritarie sono due: alcuni sostengono
che i nomi li abbia forniti la direzione, altri sostengono che invece sia stato
il PCI e i suoi uomini nel CdF. Martedì 7.4 anche il Gruppo operaio della Fucine
interviene sull’argomento con un comunicato affisso in tutta la fabbrica,
sostenendo espressamente la seconda ipotesi, mentre Lotta Comunista
sull’argomento tace, perché “ci sono problemi più importanti da
affrontare”.
QUALE
LIBERTÀ?
Ancora una volta con l’alibi della “caccia al
terrorista”, la repressione antioperaia viene presentata come un fatto normale,
per impedire ogni forma di solidarietà o di protesta degli operai. Il CdF e la
Flm, nel loro comunicato, si affrettano a ricordarci che “..queste iniziative
rientrano nei compiti che la magistratura può e deve autonomamente assumere”.
Così basta l’interessata segnalazione di qualche anonimo ruffiano perché la
polizia irrompa, con le armi spianate, nelle nostre case, sotto gli occhi
terrorizzati dei nostri bambini e dei nostri parenti, additati al caseggiato e
in fabbrica come elementi da evitare perché pericolosi.
Ma non c’è da
scandalizzarsi! La magistratura può e soprattutto deve, anche se non esiste
alcun indizio concreto se non la necessità di intimidire e mettere a tacere gli
operai che non si sottomettono alla politica sindacale dei sacrifici e alla
dittatura del Pci in fabbrica - infatti per una strana coincidenza quasi tutti
gli operai sono colpevoli di aver organizzato le lotte nei reparti contro la
nocività, per aumenti salariali, denunciando il peggioramento delle nostre
condizioni di vita e di lavoro.
Chi dunque può avere interesse a queste
operazioni reazionarie? Il CdF si affretta a mettere le mani avanti e scrive:
“le divergenze e le contrapposizioni di carattere sindacale non debbono essere
intese come elementi di giudizio nei fatti che riguardano il terrorismo”. Che
grande prova di democrazia! Neppure il più fascista dei tribunali avrebbe la
sfrontatezza di condannare qualcuno sulla base delle sue posizioni sindacali.
Risulta invece che la direttiva del PCI di segnalare gli “elementi sospetti” in
fabbrica sia stata eseguita alla lettera anche alla Breda Fucine ed è chiaro che
i criteri di queste segnalazioni seguono un percorso ben preciso: eliminare e
mettere a tacere ogni forma di protesta alla sua politica antioperaia in cambio
della scalata al governo.
Operai, solidarizzare con i compagni
colpiti dalla repressione significa far fallire questa manovra. Nessuno infatti
difende gli operai se questi non sono organizzati.
Le utopie del terrorismo
non solo non sono servite a difendere le nostre condizioni, ma sono diventate lo
spunto per giustificare la repressione degli operai in lotta.
PCI e sindacato
svendono la nostra pelle per la loro scalata alla gestione dell’economia
capitalistica in crisi e diventano lo strumento della repressione contro gli
operai più combattivi.
Organizzarci
per difendere i nostri interessi di classe è oggi un compito
immediato per ogni operaio cosciente.
Gruppo operaio
Breda Fucine
La
lotta ormai è stata bloccata, ma il clima di agitazione e il dibattito
continuano. E’ in questa situazione che si inserisce il ritrovamento di un
manifesto delle BR che prende posizione sulla lotta alimentando così le voci
sparse dal PCI e dal CdF sui probabili “fiancheggiatori”.
VENERDI’ 15 MAGGIO E’ STATO RINVENUTO UN MANIFESTO
DELLE B.R. nei cessi del reparto Montaggio ma, contrariamente al
solito, il CdF non ne ha fatto grande pubblicità. Ciò risulta strano anche
perché nel manifesto le Br “confermano” una tesi molto cara al sindacato: chi si
oppone alla politica dei sacrifici e lotta contro lo sfruttamento in fabbrica è
un probabile terrorista o fiancheggiatore.
Sentiamo infatti cosa scrivono
i terribili guerrieri delle BR e quali mulini fa girare la loro acquetta:
“Costringendo il capo Compare a lasciare il suo sporco ruolo, abbiamo imposto
rapporti di forza a favore dei lavoratori, aprendo spazi alla lotta di massa che
nei reparti si è espressa in diversi modi contro la nocività, i carichi di
lavoro, le condizioni economiche ...”. Come tutti sanno, oltre alla fermata nel
reparto Giunti, l’unica lotta che nei reparti si è espressa contro la nocività,
i carichi di lavoro e le condizioni economiche è stata quella della Forgia.
Questa lotta di minoranza (le masse sono un sogno delle BR) ha dovuto affrontare
mille difficoltà e non solo per il rifiuto a trattare della direzione, per il
boicottaggio del CdF, per il crumiraggio organizzato dal PCI. Il problema più
grosso è stato proprio la divisione al nostro interno, la mancanza di
un’organizzazione generale degli operai, di una coscienza di classe che solo
lentamente si va ricostruendo tra gli operai. Ciò nonostante abbiamo resistito
per oltre un mese con scioperi, assemblee e rifiuto della mobilità. E la
questione non è accantonata, la crisi continua e con essa il peggioramento delle
nostre condizioni.
Ma ecco che le BR sentono il bisogno di comunicare al
CdF e alla Digos che sono stati loro ad “aprirci gli spazi”. Forse risolvendo
questi problemi al nostro interno? No, punendo e facendo licenziare un capo
reparto del PCI! E’ una convinzione che i teorici delle BR si portano dietro
dall’azione cattolica: i cattivi vanno puniti! Un’altra l’hanno imparata a
scuola: cambiando un professore cattivo con uno più buono, la promozione è più
facile. In fabbrica è diverso. Un capo, un dirigente non è che un funzionario
del capitale, può essere sostituito in qualsiasi momento senza che il capitale
sia stato neppure scalfito, né che gli operai ne siano avvantaggiati. Al
contrario, la passeggiata del signor Compare è stata il pretesto e la
maggior giustificazione alle perquisizioni e alle intimidazioni contro gli
operai più attivi nella lotta e un pesante condizionamento per i più incerti
(tra l’altra la lotta era già partita prima che le BR aprissero i loro “spazi”).
Questa è la sola attestazione di merito che le BR possono vantare: la caccia
alle streghe scatenata in fabbrica per reprimere, con l’alibi della lotta al
terrorismo, gli operai in lotta.
Ma vediamo quali obiettivi ci propongono
le BR, “chiari e unificanti per tutta la classe” con “al centro la parola
d’ordine: il piano di ristrutturazione non passerà!” Chi lo ferma? La speranza è
la forza della fede. Solo che la ristrutturazione capitalistica è passata sugli
operai nonostante 10 anni di proclami delle BR e continua a passare per il
semplice fatto che, finché esiste il capitale, questo si ristruttura.
Le
BR dovrebbero dire “il capitale non passerà!” e poi spiegarci come si fa. Ma le
BR non si fanno imbrigliare dalla realtà:
“Nessun investimento tecnologico
deve passare per aumentare la produttività e lo sfruttamento o per togliere
posti di lavoro, ma solo per diminuire la fatica ed eliminare la nocività”.
Siamo al controllo degli investimenti, ma armato. Forse così i padroni si
convinceranno a investire non più per il profitto ma per la salute e la piena
occupazione degli operai.
“Non deve passare alcun aumento dello sfruttamento
... tutte le condizioni nocive vanno abolite”.
Sono le stesse promesse che il
sindacato ripete da anni per abbellire il capitale creando l’illusione che con
la lotta per le riforme (e col PCI al governo) tutto ciò possa realizzarsi in
questo sistema. Dieci anni di lotta armata con morti e galere piene di compagni,
quando per propagandare questi obiettivi bastava iscriversi al sindacato? Cosa
ci ha risposto il CdF sulle 280 lire? La nocività va abolita. E sui contratti?
Non soldi ma investimenti per l’occupazione. Ristrutturazione e produttività?
Solo per diminuire la fatica e lo sfruttamento.
Ma le BR con la stessa
concezione del “contropotere” e la stessa fantasia di trasformare il capitale
senza che gli operai abbiano conquistato il potere politico, propongono un
metodo di lotta più cattivo credendo che questo li assolva dall’opportunismo
teorico.
“Per portare avanti questo programma occorre ... costruire in ogni
reparto, squadra... organismi di massa che siano politici e militari, che siano
clandestini...”. Siamo al pansindacalismo armato. Probabilmente le BR conoscono
alla perfezione le opere complete di Tex Willer ma hanno sbagliato epoca. Non
c’è bisogno del fucile per il controllo degli investimenti. Ma soprattutto, se
gli operai decidessero di organizzarsi politicamente in reparti e squadre armate
non chiederebbero limitazioni allo sfruttamento ma la sua abolizione con
l’abolizione del capitale.
Per concludere: forse su una cosa le BR hanno
ragione. Bisogna proprio essere clandestini perché nelle assemblee e nei reparti
sarebbe un problema sparare simili stronzate.
Gruppo Operaio
Breda Fucine
Le
provocazioni continuano. Un delegato provoca ad arte un incidente che scatena il
CdF: Il suo comunicato viene massicciamente affisso in tutti i reparti. E’ il
migliore riconoscimento del fatto che la lotta della Forgia, seppure stroncata,
ha lasciato il segno.
Comunicato
Ieri sera, presso il deposito
delle biciclette della Italtrafo, il delegato Stefano Sala del reparto Forgia è
stato aggredito e percosso da un lavoratore della Forgia stessa.
Questo nuovo
fatto è il culmine di un clima di tensione e di provocazione che da alcuni
giorni il “GRUPPO DI OPERAI” sta creando in Forgia; l’aggressione non è contro
il singolo, ma contro il ruolo che svolge sala in quanto membro del Consiglio di
Fabbrica.
L’aggressione ed il clima di provocazione è il risultato di una
tensione che si è determinata nel reparto dopo il clamoroso fallimento di una
lotta su obiettivi sbagliati condotta dal “GRUPPO DI OPERAI” in contrapposizione
al CdF
.
Il CdF, poiché l’aggressione a Sala ha comportato medicazioni al
C.T.O. con prognosi di dieci giorni e ciò comporta un iter giudiziario, ha
deciso di sostenere collettivamente tale iter.
Al tempo stesso il CdF esprime
la propria solidarietà al delegato Sala per l’aggressione subita e la più ferma
condanna per una prassi di lotta politica che troppe volte degenera dal
confronto dialettico tra legittime posizioni diverse per arrivare ad atti di
violenza, alle diffamazioni nei confronti del CdF e dei delegati.
Il CdF
invita la Direzione ad astenersi da atti strumentali tesi ad applicare fuori dal
luogo di lavoro i regolamenti previsti dal Contratto Collettivo Nazionale di
Lavoro, ritenendo che tale fatto investa il rapporto politico tra CdF, un
lavoratore ed il “GRUPPO DI OPERAI” ed investa leggi che regolano la civile
convivenza tra i cittadini.
Approvato con un voto contrario.
5.6.81
Esecutivo del Consiglio di
Fabbrica
Dalla provocazione alla repressione
Visti
fallire i tentativi di recuperare consensi alla famigerata politica dei
sacrifici, il CdF da tempo ricorre alla montatura politica per intimidire e
isolare gli operai che lottano per i propri interessi.
Caduto nel
ridicolo il tentativo di farli passare come probabili terroristi, ha ora deciso
di assumersi in proprio il compito della repressione, denunciando alla
magistratura un operaio della Forgia con l’accusa di aggressione. Pretesto: un
diverbio causato, probabilmente ad arte, da un delegato del PCI.
Così un
operaio, che tutti nel reparto conoscono e stimano, che viene in fabbrica per la
sudata pagnotta (e non per fare il burocrate a tempo pieno), si trova da solo di
fronte alla magistratura ed alla direzione, accusato proprio dai cosiddetti
“rappresentanti dei lavoratori”.
Come giustifica il CdF questa gravissima
scelta? Quali prove esibisce? Nessuna, afferma soltanto che si tratta di una
aggressione, pensando che questo basti a convincere gli operai. Eppure ci sono
numerosi testimoni che possono dimostrare come si sono svolti i fatti. Perché
non si è convocata un’assemblea per chiarire l’accaduto? Ma vediamo i fatti,
perché ognuno possa giudicare usando la propria testa:
Durante una
normale discussione, l’operaio che si vuole perseguire si era permesso un
giudizio sullo sciopero di giovedì 4 giugno, diventato obbligatorio e non più
una libera scelta per il semplice fatto che direzione e CdF staccano la
corrente. Il delegato del PCI lo insultava e minacciava con le testuali parole:
”Tu mi hai rotto i c..., ti faccio un c... così”. Già questo linguaggio
chiarisce le intenzioni del delegato, chi ha assistito alla discussione può
confermarlo.
1) I due si incontravano casualmente fuori dalla fabbrica
mentre ritiravano le biciclette nel box dell’Italtrafo. Anche qui i testimoni
possono confermare che entrambi si strattonavano, quindi con identiche
responsabilità. Piuttosto sarebbe da soppesare la minaccia precedente espressa
dal Sala nel reparto. Il CdF, al contrario, cerca di far passare come
aggressione ciò che è stato un diverbio, anche se increscioso e da
evitare.
2)Ma il carattere strumentale dell’operazione viene in piena
luce se si considera il successivo impegno del CdF nel montare il caso per
incastrare l’operaio e “martirizzare” il delegato. Infatti il Sala, su
indicazione del CdF, si precipitava nell’infermeria di fabbrica e, per ottenere
una prognosi superiore ai 4 giorni e far scattare così “automaticamente” la
denuncia, evidentemente non soddisfatto, si trasferiva al CTO dove finalmente
riusciva a conquistare i giorni di prognosi indispensabili. Ogni commento è
superfluo.
L’operaio continua a lavorare (nonostante abbia avuto
anch’egli dal CTO 5 giorni di prognosi per “contusioni abrasive multiple e
contusione alla gamba destra”) a differenza di Sala che preferisce fare la
vittima.
Qual’è dunque l’obiettivo del CdF? Lo chiarisce il suo comunicato:
attaccare e insultare gli operai della Forgia in lotta contro la nocività e il
continuo peggioramento delle condizioni economiche. Per questo non esita ad
accanirsi contro un operaio nel tentativo di intimidire tutta la fabbrica. Le
velleità mortificate del Sala a “rompere” certe parti vengono elevate al rango
di un attacco a tutto il CdF. L’operaio diventa “un gruppo di operai”, un
diverbio personale diventa la dimostrazione di un “clima di tensione” prodottosi
per il “clamoroso fallimento” della nostra lotta.
Ma perché tanto
isterismo, se tutto è fallito? Non è, piuttosto, il tentativo di nascondere che
a fallire clamorosamente è stata solo la politica dei sacrifici imposti agli
operai con le promesse sbandierate e non mantenute sull’aumento
dell’occupazione?
Evidentemente il continuo peggioramento delle condizioni
operaie e i nuovi attacchi che si stanno preparando al nostro salario (vedi
scala mobile) richiedono proprio quel “clima di tensione e provocazione” che il
CdF denuncia solo per sguazzarci dentro.
Contro questo tentativo e per
esprimere la nostra piena solidarietà all’operaio colpito, gli operai del gruppo
omogeneo Magli - Pressa - Trafila hanno subito attuato uno sciopero di protesta
di due ore e chiedono la solidarietà di tutti gli operai della Breda per far
fallire questo disegno repressivo.
Assemblea del gruppo
omogeneo
Magli-Pressa-Trafila
(Introduzione all’opuscolo sulla lettura della busta
paga)
Questo opuscoletto, scritto nel 1978 dal delegato della
Forgia (Magli-Presse-Trafila), servì ad illustrare e a far comprendere la busta
paga a decine di lavoratori. Esso fu anche la base di alcuni corsi tenuti nei
reparti durante le ore di pausa o di mensa. La dispensa era formata da
un’introduzione generale (che riportiamo di seguito) e dalla fotografia della
busta paga di un operaio di 4° livello, divisa in tre sezioni: la prima spiegava
il meccanismo di formazione della paga oraria, la seconda riguardava tutte le
competenze e la terza il meccanismo di calcolo delle trattenute.
Introduzione
Conoscere il salario e la
sua struttura, impadronirsi dei meccanismi che compongono la busta paga e
saperla leggere è da sempre un’esigenza comune a tutti gli operai. Nonostante il
poco tempo a disposizione, la mancanza di strumenti, la difficoltà di lettura,
il lavoratore, l’operaio “che sgobba” è sempre attento alla busta paga. Sono
proprio le continue richieste di spiegazione dei meccanismi della busta paga da
parte di un numero sempre più consistente di operai il motivo principale che ci
ha spinto a costruire questa dispensa.
Nel momento in cui si prepara un
ulteriore attacco dei salari sotto il nome di riforma del salario, il fatto che
un numero maggiore di operai sia a conoscenza dei meccanismi che compongono la
busta paga può aiutare molti lavoratori a capire le ragioni per cui padroni,
governo e sindacati vogliono ridurre la parte automatica del
salario.
1° parte: Cos’è il salario e
come è determinato
Nell’attuale società capitalista ciò che
l’operaio vende al suo padrone non è il suo lavoro, ma la sua forza-lavoro (cioè
la capacità lavorativa) che egli mette temporaneamente a disposizione del
capitalista per poter vivere.
La forza-lavoro è quindi una merce, e come
tutte le merci ha un valore che è determinato dalla quantità di lavoro
socialmente necessario per la sua produzione. La forza-lavoro di un uomo o di
una donna non è scindibile dalla sua persona, perché consiste unicamente nella
sua personalità vivente. Il suo valore è dato dalla somma dei costi di
produzione sostenuti per mantenere e riprodurre l’operaio, non solo come specie
ma come “grado” e “qualifica”.
Quali sono questi costi di produzione
della forza-lavoro?
Sono i costi necessari per produrre e mantenere
efficiente la forza-lavoro o capacità lavorativa dell’operaio.
In altre
parole ciò significa che i costi di produzione dell’operaio sono quelli
strettamente necessari perché possa crescere e conservarsi, cioè i mezzi di
sussistenza necessari mediamente (espressi nel loro prezzo in denaro) per
renderlo atto al lavoro, per conservarlo nella condizione di poter lavorare, per
sostituirlo quando egli scompare per vecchiaia, per malattia o per morte, con un
altro operaio.
Cosa vuol dire
concretamente questo? Che oltre ad una certa quantità di oggetti di
uso corrente necessari al suo sostentamento, l’operaio ha bisogno di un’altra
quantità di oggetti di uso corrente, per allevare un certo numero di figli che
debbono rimpiazzarlo sul mercato del lavoro e perpetuare la “razza” degli operai
nella misura necessaria, perché l’uomo, come la macchina, si logora e quando non
è più adatto al processo produttivo deve essere sostituito da un altro
uomo.
Ai costi del mezzi di sussistenza c’è da aggiungere i costi
sostenuti per la formazione professionale dell’operaio (apprendistato, un certo
grado di istruzione, ecc.), per cui il valore della forza lavoro è dato dalla
somma complessiva dei costi di produzione sostenuti per essa.
E’ questa la
spiegazione del perché, nel sistema attuale del lavoro salariato, i salari sono
diversi a seconda dei livelli.
Nell’attuale società la forza-lavoro di un
operaio comune ha un valore minore di quella di un operaio specializzato; e
ancora, la forza-lavoro degli operai ha un valore minore di quella di un
ingegnere, perché la produzione della forza lavoro di un operaio specializzato o
di un ingegnere costa più tempo di lavoro di un operaio generico.
Ecco il
motivo del diverso prezzo sul mercato del lavoro.
Salario nominale e salario reale
Così
come il prezzo di tutte le merci, anche il salario risente della concorrenza e
del rapporto tra offerta e richiesta. Nei periodi di boom economico in cui la
richiesta di operai (cioè della merce forza-lavoro) da parte dei capitalisti
supera il numero degli operai disponibili, la concorrenza fra operai diventa
minima o addirittura nulla e il risultato è un aumento del prezzo di questa
merce, cioè il salario.
Quando invece succede il contrario, cioè
disponibilità di merci molto superiore alla domanda (eccedenza di operai
rispetto alle esigenze del capitale, come nei periodi di crisi), la concorrenza
fra operai diventa disperata e il salario diminuisce.
La grande divisione del
lavoro, con l’introduzione di nuove tecnologie e nuove macchine nel processo
produttivo, ha reso capace un operaio di fare il lavoro di 5, 10, 20 e in alcuni
casi di 100 operai e più, e il risultato è stato che la concorrenza fra gli
operai è aumentata nella stessa proporzione, nella misura in cui un operaio -
con le nuove macchine - è costretto a fare il lavoro di 5, 10, 20
operai.
Con la parcellizzazione del lavoro e l’uso dei robot il lavoro si
semplifica. Anche quei lavori dove l’abilità particolare dell’operaio era
necessaria tendono sempre più a perdere il loro valore, diventando il lavoro
accessibile a tutti.
Inoltre, più il lavoro diventa semplice e prima lo si
impara, minimi diventano i costi di produzione occorrenti all’operaio per
apprenderlo e quindi più in basso cade il salario, perché esso - come il prezzo
di qualsiasi altra merce - è determinato dai suoi costi di
produzione.
Quindi, quegli operai che cercano individualmente la
soluzione dei loro problemi cercando di conservare la massa del loro salario,
lavorando più ore con gli straordinari o aumentando i pezzi nella stessa ora (i
cottimisti), o facendo lavoro nero - perché spinti e costretti dal bisogno -in
realtà non fanno altro che rendere più gravi le loro condizioni, perché più
lavorano e meno salario ricevono.
Questo succede per la semplice ragione
che, facendosi concorrenza, spingono anche gli altri ad offrirsi alle stesse
cattive condizioni con il risultato di peggiorare, in ultima analisi, le
condizioni dell’intera classe operaia.
La tendenza alla diminuzione dei
salari, nel regime capitalistico, oltre che motivo di conflitti sindacali, è uno
dei motivi che stanno alla base dei contratti aziendali e nazionali.
Spesso,
dietro alla demagogia delle “vittorie” e delle “conquiste” si nasconde
un’elementare verità: quasi sempre una richiesta di aumenti salariali si rende
necessaria per mantenere inalterato il valore del salario.
Ma, anche
prescindendo dalla concorrenza, in determinate condizioni la somma di denaro in
busta paga può restare invariata e nonostante ciò il salario diminuire perché,
aumentando maggiormente il prezzo dei mezzi di sussistenza, con gli stessi soldi
l’operaio riceve in cambio meno pane, meno carne, meno verdura,
ecc.
Quindi il prezzo in denaro della forza-lavoro, il salario nominale, non coincide affatto con
il salario reale (cioè con
la quantità di merci che vengono realmente date in cambio del salario). Per
questo, in economia, si distingue fra SALARIO NOMINALE e SALARIO REALE.
Il
Delegato della Forgia
del gruppo omogeneo
Magli-Presse-Trafila
1978
N.b. Negli anni seguenti vennero ristampate, in
occasione dei rinnovi contrattuali, dispense aggiornate con le nuove tabelle, ma
l’introduzione rimase la
stessa.
FINE