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sommario > Capitolo 4. [M. Michelino:1970-1983 - La lotta di classe nelle grandi fabbriche di Sesto San Giovanni]

IL RAPIMENTO MORO L’ASSASSINIO DI FAUSTO E JAIO GLI SCIOPERI A DIFESA DELLO STATO

Il 16 marzo 1978, mentre in Breda Fucine si sta svolgendo un’assemblea, arriva la notizia del rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione dei cinque poliziotti della scorta. Subito il dibattito, con toni alle caccia alle streghe, viene indirizzato verso i militanti del Gruppo Operaio, ritenuti probabili “fiancheggiatori” della lotta armata in fabbrica perché sempre critici verso le scelte del sindacato e del PCI.

Durante l’assemblea ai lavoratori viene comunicato che i segretari generali delle tre organizzazioni sindacali Lama-CGIL, Macario-CISL, Benvenuto-UIL hanno dichiarato lo sciopero generale fino alla mezzanotte.
Nella stessa giornata il segretario del PCI Berlinguer, insieme agli onorevoli Natta e Pajetta, si reca nello studio privato di Andreotti (presidente del consiglio) a Palazzo Chigi, seguito da tutti i capi dei partiti che compongono il Governo.

Ugo La Malfa del Partito Repubblicano esprime lo stato d’animo di tutti i borghesi, dichiarandosi per l’immediata adozione di “leggi eccezionali” e invocando la “pena di morte per i terroristi”.
In serata i cinque partiti che compongono la maggioranza di governo (Democrazia Cristiana, Partito Socialista Italiano, Partito Repubblicano, Partito Socialdemocratico e Partito Liberale) - insieme al Partito Comunista Italiano che, pur facendo parte della maggioranza, non ha ministri nel Governo - danno la fiducia nuovamente ad Andreotti facendo nascere il quarto Governo da lui guidato: il primo nella storia politica italiana ad aver ricevuto la fiducia in meno di 24 ore.

Milioni di lavoratori vengono chiamati dai partiti, dai sindacati e da tutte le istituzioni ad “isolare i violenti”. La difesa dello stato e la solidarietà nazionale vengono presentati in tal modo come interessi operai.
Il 21 marzo 1978, 5 giorni dopo, il nuovo Governo vara dodici nuove misure per l’ordine pubblico, tra cui il fermo di polizia, la libertà di interrogare e perquisire senza mandato. Il ministro degli Interni, il democristiano Francesco Cossiga, in nome dell’emergenza, in un incontro con i tre segretari di CGIL, CISL e UIL, concorda con loro le misure da questi criticate e respinte alcuni mesi prima.

Anche Pietro Ingrao (PCI), presidente della Camera, in un’intervista al quotidiano L’Unità attacca duramente lo slogan di Lotta Continua: “né con le Brigate Rosse né con lo Stato” perché, dice Ingrao: “...se questa operazione dovesse trovare spazio ne deriverebbero due gravi conseguenze, e cioè che ormai contano solo le bombe e il popolo sarebbe spinto nella passività, e la polizia si troverebbe sola di fronte ai killers dell’eversione antidemocratica”.

Differenziarsi dalla strategia dei gruppi “combattenti” senza cadere nella trappola istituzionale e criticare nel contempo la scelta opportunista sostenuta da Lotta Continua e Democrazia Proletaria è la scelta del “Gruppo operaio” Breda, con interventi critici nelle assemblee e con una serie di volantini in cui spiega la propria posizione.

Inizia la caccia al terrorista

Alcuni giorni dopo il rapimento di Moro, intorno alle 4 del mattino fui svegliato dal suono prolungato del campanello. Ancora assonnato, guardai la sveglia e mi avviai verso la porta chiedendo chi fosse. La risposta concitata ed urlata fu: “polizia, aprite subito o spariamo”. Intontito dal brusco risveglio aprii la porta, per trovarmi davanti la canna di una mitraglietta impugnata da un carabiniere e, in una frazione di secondo, mi ritrovai in ginocchio con le mani dietro la nuca. Subito una decina di agenti dell’antiterrorismo e della Digos, sia in borghese che in divisa - ma tutti muniti di giubbotto antiproiettile, fecero irruzione nella mia casa. Alcuni si precipitarono nella stanza da letto, buttando letteralmente per terra mia moglie, altri andarono in cucina dove dormiva mia figlia di 5 anni, altri ancora entrarono in bagno.

Dopo quattro ore di perquisizione (in un appartamento di 35 metri quadri), dopo aver buttato all’aria tutto, smontato tutto lo smontabile a partire dai cassonetti delle tapparelle, sfogliato i libri pagina per pagina, messo da parte volantini e scritti poi sequestrati, mi portarono in strada. Sempre sotto la minaccia delle armi, seguiti dagli sguardi dei vicini che spiavano da dietro le finestre, perquisirono la mia auto. Solo allora mi resi conto quanti poliziotti fossero stati impiegati in questa operazione. Una decina tra poliziotti e carabinieri presidiavano i cinque piani di scale che portavano al mio appartamento; una decina tra macchine e furgoni della polizia e dei carabinieri erano parcheggiati fuori da casa mia. Fu questa la prima delle cinque perquisizioni che mi fecero in quegli anni.

Era cominciata la caccia alle streghe.
Alcuni giorni dopo il sequestro Moro, il 18 marzo, Fausto Tinelli e Lorenzo Jannucci (Jaio), due giovani frequentatori del centro sociale Leoncavallo, vengono assassinati pochi minuti prima delle 21 a colpi di calibro 38. In meno di un’ora alcune migliaia di persone si radunano nel luogo del duplice omicidio accusando i fascisti.

Il Gruppo operaio prende subito posizione ed al funerale dei compagni assassinati partecipa una folta delegazione di operai della Breda e delle altre fabbriche milanesi.
Nel frattempo gli scioperi a difesa dello “Stato democratico nato dalla Resistenza” si allargano alla difesa di tutte le “istruzioni democratiche”, compresi i poliziotti.

L’Italia diventa uno Stato di polizia
Nella sua relazione di minoranza alla “commissione Moro” presentata il 22 giugno del 1982, lo scrittore Leonardo Sciascia, deputato radicale, annota lo “sforzo” di polizia nei 55 giorni del sequestro Moro definendolo con l’aggettivo “imponente”: 72.460 posti di blocco, di cui 6.296 nella cintura urbana di Roma; 37.702 perquisizioni domiciliari di cui 6.933 a Roma; 6.413.713 persone controllate (oltre il 10% della popolazione italiana considerando vecchi e bambini) di cui 167.409 a Roma; 3.383.123 automezzi controllati di cui 96.572 a Roma.

La campagna affinché i bracci armati dello stato entrino a fare parte del sindacato insieme agli operai, perché anche loro sono “lavoratori”, si intensifica. In nome della lotta contro il “terrorismo”, la borghesia ed suoi agenti del sindacato e del PCI cercano di cancellare il concetto stesso di capitale e di sfruttamento operaio che sono alla base della società e su cui si fondano le sue istituzioni. Ripristinare le giuste categorie, riportare con i piedi per terra i concetti che sono alla base della società capitalista non è facile.

La campagna propagandata dai mass-media cerca di far apparire lo sfruttamento come legittimo, la società borghese come la più pacifica, “il migliore dei mondi possibili”, mentre l’attentato alla “democrazia” è denunciato come proveniente da isolati gruppi armati.

In nome del risanamento delle industrie e “della difesa del posto di lavoro”, spacciando come obiettivi operai la produttività, la competitività, il mercato e il profitto, il PCI ed il sindacato si fanno paladini del capitalismo italiano nel mondo.
L’obiettivo centrale delle confederazioni sindacali resta la difesa dei profitti, nascosta dietro la “difesa dei disoccupati” - a cui le rivendicazioni degli occupati dovrebbero subordinarsi. Intanto nelle fabbriche si chiedono gli straordinari.

Ma che rapporto c’è tra produttività e mercato, tra sfruttamento operaio e guerra?
Certe affermazioni che anni fa sembravano azzardate hanno oggi un puntuale riscontro nei drammatici avvenimenti internazionali. Il nazionalismo delle confederazioni sindacali viene denunciato non tanto a livello ideologico quanto in rapporto alle esigenze di sfruttamento degli operai. Nel frattempo monta la campagna sul “terrorista in fabbrica” con l’obiettivo di criminalizzare ogni lotta e ogni lavoratore che sfugge al controllo del PCI e del sindacato.
Intanto Guido Carli, a nome della Confindustria, dichiara la disponibilità degli industriali a creare 100.000 posti di lavoro in cambio dei sacrifici, trovando subito il plauso di Luciano Lama.



Volantino 1
SULLO SCIOPERO PER I LAVORATORI DEL MANGANELLO

COMPAGNI, OPERAI
Le Confederazioni sindacali, controllate dai partiti di governo, ci chiamano a lottare per far entrare i poliziotti nel sindacato. Secondo il PCI questi lavoratori “meritano un trattamento adeguato alle loro funzione. Miglioramento delle condizioni economiche (più soldi) e di lavoro (meno orario); potenziamento e maggiore efficienza del corpo (nuove assunzioni e qualificazione “professionale”)”.

Mentre in fabbrica continuano a chiederci sacrifici per uscire dalla crisi, dall’altra parte vengono ridotte le tasse agli azionisti, si aumentano (160.000 lire al mese*) gli stipendi ai deputati, si accontentano i poliziotti per renderli ancora più ligi al regime e poterli impiegare meglio contro chi non vuole, e non può, più fare nuovi sacrifici.

MA CONTRO CHI DOVREMO LOTTARE?
Tutti i partiti “democratici” sono d’accordo nella sostanza e la lotta si gioca solo per chi avrà il controllo dei bracci armati dello stato borghese.
La DC li vuole nel sindacato autonomo per mantenere gli attuali rapporti di forza, il PCI li vuole dentro le confederazioni, come neoassunto nel potere borghese, per legittimare la sua collocazione. Gli stessi rivoluzionari della domenica facenti capo a Democrazia Proletaria applaudono all’iniziativa, convinti di potersi insinuare tra le pieghe della democrazia borghese nella speranza di allargarle e di raccogliere qualche briciola reggendo le mutande al PCI. Nei loro sogni credono che la polizia è fascista perché pagata male e che con un trattamento migliore, e qualche discorso politico, diverrà democratica.

MA LA POLIZIA E’ UNO STRUMENTO DEL CAPITALE PER REPRIMERE GLI OPERAI E IMPEDIRNE LE LOTTE

Si può chiedere che gli sbirri della proprietà privata stiano dalla parte degli operai? Scioperare per i poliziotti, diffondere l’idea che sono “lavoratori sfruttati” ecc., equivale ad incoraggiare l’arruolamento di quei giovani senza prospettive, che possono scegliere di lottare contro questo sistema che nega anche il lavoro e che quando lo concede è solo per poterci sfruttare, oppure mettersi al servizio del capitale e sparare contro gli sfruttati e i disoccupati. Denunciare il ruolo della polizia, lottare contro le sue azioni antioperaie e antipopolari, è l’unica possibilità per indebolirne le file, per scoraggiare l’adesione di quanti siano indotti a
farsi strumento di repressione del capitale.

Compagni, operai,
non paghiamo con ore di sciopero i fucili che domani si rivolgeranno contro di noi in fabbrica, o contro i nostri alleati di classe!

RIFIUTIAMO IN MASSA QUESTO SCIOPERO!

Febbraio, 1978
Gruppo Operaio Breda Fucine

(*) Il salario medio annuo di un operaio in questi anni è di 4 milioni di lire.



Volantino 2
DUE GIOVANI COMPAGNI UCCISI DAI FASCISTI

OPERAI,
L’assassinio di due giovani compagni di Milano è la ritorsione fascista al rapimento Moro e all’uccisione della sua scorta.
Tutti i partiti dell’arco parlamentare, dalla DC al PCI, sino a Democrazia Proletaria, si sono prontamente mobilitati accomunando compagni e poliziotti nella campagna contro il terrorismo per la difesa della democrazia borghese, per il rafforzamento dello stato.
Chi era convinto di poter criticare lo stato perché “combatte solo la violenza di sinistra” è ora disorientato di fronte ai complessi meccanismi della democrazia borghese.
“Le BR che sparano sui poliziotti, i fascisti che sparano sui compagni, i ‘benpensanti’ come La Malfa che invocano la pena di morte”: in questa situazione lo stato borghese ha l’occasione di dimostrare imparzialità e autorità garantendo con l’uso moderato della forza le condizioni ideali per il funzionamento del capitale.
La democrazia borghese è la forma politica più congeniale per sottomettere e sfruttare in pace gli operai facendogli credere di essere liberi.

NESSUNA VIOLENZA E’ AMMESSA, SE NON QUELLA LEGALIZZATA E COSTITUZIONALE
DELLO SFRUTTAMENTO DEL CAPITALE SUL LAVORO SALARIATO.

Ogni anno 4.000 operai, solo in Italia, vengono uccisi in incidenti sul lavoro, altre migliaia restano storpiati per tutta la vita, i vecchi mandati al macero con miserabili pensioni, ogni giorno peggiorano le condizioni di vita e di lavoro mentre aumenta la ricchezza che solo noi produciamo e i capitalisti accumulano.
Lo stato borghese ha tutto l’interesse a mantenere questa democrazia e l’abbandona solo quando gli operai in massa rivendicano i loro interessi, mettendo così in discussione i profitti del capitale.

Oggi in particolare i capitalisti hanno da essere soddisfatti, nonostante il tiro a segno delle BR: grazie a PCI e sindacati si è resa possibile “pacificamente” la riduzione dei salari, la mobilità garantita, l’intensificazione dello sfruttamento operaio, il controllo dei disoccupati. Oggi soprattutto non c’è bisogno di forze oscure alla guida del paese, ma di far funzionare bene questa democrazia.
Chi servono dunque le BR, e chi le manovra? La CIA, il KGB, il SID o le famigerate forze oscure? Noi non crediamo alle “convergenze oggettive”. In realtà le BR servono soltanto se stesse e il proprio sogno di essere il partito della classe operaia.

Per noi si pone il problema: chi utilizza l’attuale situazione politica e ne trae vantaggio.

Nella crisi i capitalisti italiani hanno bisogno della coalizione delle forze per presentarsi compatti nella concorrenza sul mercato mondiale. Urge un quadro politico compatto in grado di sostenere il pesante programma antioperaio necessario alla ripresa della competitività.

Il nazionalismo e la lotta al terrorismo sono diventate le bandiere che unificano tutti i partiti. In nome dell’emergenza si accelera l’abbraccio DC-PCI e il compromesso storico si allarga fino a DP-LC e MLS*, ansiosi di dimostrarsi difensori della democrazia borghese. Nel suo nome si varano quelle leggi speciali che presto gli operai dovranno sperimentare. Intanto Pecchioli (PCI) e padronato colgono l’occasione per eliminare come provocatori quegli operai che in fabbrica si oppongono alla politica dei sacrifici e della riduzione dei salari.

Lama afferma che le BR hanno la loro base in fabbrica e inviata i suoi leccapiedi alla delazione.
Noi non imputiamo alle BR di servire per questo i disegni reazionari del PCI e della direzione.
Le campagne forcaiole non hanno difficoltà a trovare pretesti. A questo proposito precisiamo ulteriormente la nostra posizione, anche se nota a tutti gli operai.
Riteniamo le BR incapaci di criticare il capitalismo da un punto di vista marxista e di classe, incapaci di condurre lo scontro a livello politico e teorico col revisionismo, impotenti rispetto alla democrazia borghese e i suoi strumenti di consenso.
Sia rispetto alla crisi che all’analisi internazionale fanno proprie le più ridicole teorizzazioni borghesi.
Proprio mentre gli operai vengono colpiti da tutti i lati, mentre non si riesce ad organizzare la difesa delle stesse condizioni di vita, in assenza di un partito di classe, sono convinti di essere in piena rivoluzione e credono, con l’esempio della lotta armata, di trascinare gli operai.
Vedono nella DC il puntello del sistema senza capire il ruolo del PCI e il suo controllo sulla classe.
I tentativi di accomunarci alle BR, come anche in assemblea è stato tentato, altro non sono che i tentativi di intimidire ed eliminare quegli operai che apertamente nelle assemblee e nei reparti dichiarano la propria opposizione alla riduzione dei salari, che lottano per gli interessi immediati e storici della classe operaia.

ONORE AI COMPAGNI ASSASSINATI!
NESSUN APPOGGIO AL RAFFORZAMENTO DELLO STATO BORGHESE!

Aprile 1978
Gruppo Operaio Breda Fucine

* DP - Democrazia Proletaria
LC - Lotta Continua
MLS - Movimento lavoratori per i socialismo (ex Movimento Studentesco)



Volantino 3
STRAORDINARI ALL’ALFA E CACCIA AL TERRORISTA

I sindacati, in nome degli operai, contrattano e accettano l’intensificazione del lavoro all’Alfa. L’obiettivo è il “recupero della produttività per risanare l’industria pubblica e potenziarne la competitività sul mercato”. Dirigenti d’azienda e dirigenti sindacali raggiungono una storica intesa: bisogna far lavorare di più gli operai.
La cura per risanare l’industria pubblica consiste, dunque, nell’aumentare il numero di automobili per addetto, cioè aumentare la produzione a parità di operai. Perché questo avvenga, il sindacato chiede una contropartita: la direzione dell’Alfa si deve “riformare”, con l’immissione di suoi rappresentanti all’interno.

Questo è ciò che Benvenuto (UIL) chiama “controllo operaio”, ovvero controllare la produttività operaia. Uscire dalla crisi vuol dire risanare le imprese, risanare le imprese vuol dire ristabilire i profitti: agli operai, con i loro sacrifici, “l’onere” di questo compito. A sentire i dirigenti sindacali, nell’industria di stato non solo non si fanno profitti, ma ci pagano di più di quanto rendiamo; i bilanci parlano chiaro: 140 miliardi di debiti.
- Ma gli stipendi pagati ai dirigenti e i dividendi agli azionisti non sono forse percentuali sui profitti realizzati tramite il nostro sfruttamento?
- Si può essere tutti lavoratori, anche se i dirigenti intascano 60-70 milioni all’anno e gli operai arrivano a malapena a 4-5 milioni?

Ovunque si parla di risanare le imprese vuol dire che si vogliono risanare i profitti. Cosa ci guadagnano gli operai? Forse la sicurezza del lavoro? Verranno scongiurate le crisi future?

CHE CONSEGUENZA AVRA’ LO STRAORDINARIO E L’AUMENTO DELLA PRODUTTIVITA’?

Aumenterà lo sfruttamento, ci consumeremo prima sul lavoro, mentre una parte di operai verrà lasciata disoccupata. Queste sono due facce della crisi prodotta dallo sfruttamento capitalistico: da una parte gli operai, sempre più schiacciati per produrre al massimo delle loro possibilità e permettere la ripresa dei profitti, dall’altra una massa di braccia che non trovano “padroni” (la disoccupazione è aumentata proprio in questi ultimi anni). Dove sono i sindacalisti, che con i sacrifici degli operai occupati promettevano la fine della disoccupazione?
I sacrifici, invece di favorire i disoccupati, ne favoriscono l’aumento: più lavoro per gli operai dell’Alfa - più braccia inattive, più disoccupati - più ricatti per gli occupati. Il sindacato, controllato dai partiti di governo, gestisce questo ricatto perché ha tutto l’interesse a difendere i profitti e di profitti il capitale vive.

DALLA CONCORRENZA PER AUMENTARE I PROFITTI ALLA GUERRA

Tutto ciò serve a vincere la competitività e a far uscire dalla crisi i padroni italiani. Tentano di legare i nostri interessi alle merci che produciamo e alla necessità che vengano vendute: questa è la strada più pericolosa a cui vogliono costringerci.

OPERAI! I padroni italiani ci chiedono di produrre merci con una parte maggiore di lavoro non pagato; devono vincere la concorrenza, vendere e realizzare i loro profitti. Questa è la richiesta di tutti i padroni del mondo agli operai del loro paese. Senza mettere in discussione i profitti, la concorrenza fra padroni diventa concorrenza fra operai, al posto dell’unita di classe subentra la lotta fra gli operai stessi. Così, quando la concorrenza fra capitalisti sfocia necessariamente nella guerra, gli operai si troveranno addosso una divisa per sparare su altri operai, per conquistare mercati ai propri capitalisti. I dirigenti sindacali di ogni paese, facendosi portavoce della necessità di vincere la concorrenza (l’Alfa ne è un esempio ) non fanno altro che operare per la divisione del proletariato mondiale e per la sua sottomissione ai padroni di ogni paese. In Italia, il gruppo dirigente sindacale gestisce l’aumento dello sfruttamento, la difesa del profitto e la difesa dei propri padroni sul mercato mondiale.

La capacità di controllo e ricatto sugli operai viene usata come forza contrattuale per la scalata a nuovi posti di potere economico e politico.
Così Benvenuto chiama “controllo operaio” il controllo che il sindacato vuole ottenere sui bilanci dell’industria di stato, in cambio della pelle degli operai.
Ma controllare i bilanci vuol dire diventare dirigenti d’azienda a 60 milioni l’anno, vuol dire fare scelte antioperaie per il risanamento dell’industria.

Abbiamo sperimentato il nostro aumento di potere, con l’ingresso del PCI al governo!
. Avanza il socialismo e gli operai devono lavorare di più.
. Avanza il “controllo operaio” e gli utili degli azionisti aumentano.
. Avanza la democrazia e gli operai che non sono d’accordo a lavorare di più per i padroni possono finire in galera come sovversivi.

INFATTI PERCHE’ CERCANO I TERRORISTI NELLE FABBRICHE?
Perché il PCI e i sindacalisti fanno ripetuti appelli alla delazione, tentando di creare una rete di spie nei reparti? Il terrorismo è accomunato alla sovversione e siccome la più pericolosa sovversione è la lotta contro i padroni, si finisce sempre per arrestare gli operai che lottano per i propri interessi di classe.
Questa è la dichiarazione dei borghesi e del loro stato: i sovversivi si riproducono incessantemente in fabbrica e lì vanno colpiti. Questa è la dichiarazione che il pericolo per il sistema capitalistico sorge nelle fabbriche stesse, dallo sfruttamento stesso degli operai.

Il PCI e i sindacati sanno bene che la loro scalata al potere dipende dal loro controllo sugli operai; per questo mobilitano la loro base sociale (operai dello strato superiore, apprendisti capi e sottocapi ) perché facciano con zelo il loro dovere di cani da guardia. In cambio faranno carriera nel comando di fabbrica e nella gestione dello stato borghese. Per questo, è proprio il PCI il più accanito contro ogni lotta che si muova contro i padroni, per gli interessi di classe, e tenta con ogni mezzo di far fuori dalle fabbriche gli operai che emergono nella lotta. Tutto è giustificato da un semplice discorso: si definisce lo stato borghese “democratico”, quindi chi lotta contro i padroni nella fabbrica e contro il loro sistema statale non può che essere reazionario.

Compagni operai, questo discorso va capovolto: lo stato che reprime chi lotta contro lo sfruttamento, che legittima la sottomissione degli sfruttati agli sfruttatori, qualunque forma politica si dia, è uno strumento del capitale contro il lavoro salariato. Gli operai in lotta per la loro emancipazione se lo trovano necessariamente contro.

Al di sopra di ogni illusione sulla democrazia borghese, la realtà ci impone la sua legge: mentre a Cosenza la polizia dello “stato democratico” carica gli operai tessili in lotta per il posto di lavoro, il parlamento decide aumenti per i poliziotti (da 50 a 100 mila lire più la casa), il tutto in nome dello stato nato dalla resistenza.

COMPAGNI OPERAI!
PCI E SINDACATO SI IMPEGNANO A RISANARE LO STATO E I PROFITTI DEI PADRONI:
ORGANIZZIAMOCI PER LA LOTTA SUI NOSTRI INTERESSI DI CLASSE, CONTRO
L’INTENSIFICAZIONE DELLO SFRUTTAMENTO.

Coordinamento degli operai di Sesto della Breda Fucine,
Siderurgica, Termomeccanica , Falck U. Magneti Marelli.
2/5/1978
(Il PCI era nella maggioranza di governo pur non avendo ministeri.)



Volantino 4
GRAZIE CARLI

In nome della Confindustria G. Carli annuncia la disponibilità degli industriali a investire capitali per “100 mila posti di lavoro”: cosa chiedono in cambio?
1. Aumento della produzione del 4,5% (= aumento dello sfruttamento operaio in cifre)
2. Tetto salariale con aumenti che non superino il 12% tra scala mobile e aumenti contrattuali (= blocco del salario ma non del costo della vita)
3. Rastrellamento di altri 10 mila miliardi attraverso nuove tasse e aumenti delle tariffe, con cui finanziare i padroni.
4. Proroga della fiscalizzazione degli oneri sociali (= lo stato che paga per i padroni con i nostri soldi)

NON CI VIENE CHIESTO DI DARE “ALTRO” NON PER MORALITA’ MA SOLO PERCHE’ NON PRODUTTIVO. MA CI SONO (CI SARANNO) 100 MILA POSTI? PERCHE’ TANTA GENEROSITA’?

Carli è un borghese intelligente e parla a nome dell’ala illuminata dell’imperialismo italiano. Senza fronzoli dichiara che i padroni investono solo a certi tassi di profitto, e cioè aumentando lo sfruttamento operaio. I disoccupati vengono contrapposti agli occupati come costante ricatto.

A LAMA E BERLINGUER, ORA IL COMPITO DI SINDACALIZZARE QUESTI CRUDI ARGOMENTI:
“SIAMO DISPOSTI A NUOVI SACRIFICI (PER GLI OPERAI) PER RISOLVERE
L’OCCUPAZIONE (100 MILA POSTI PER 2 MILIONI DI DISOCCUPATI) PURCHE’
CAMBI IL QUADRO POLITICO (CIOE’ IL PCI AL GOVERNO).

CARLI E’ CHIARO: L’IMMISERIMENTO DELLA CLASSE OPERAIA E’ LA CONDIZIONE
NECESSARIA PER RENDERE PIU’ COMPETITIVO L’IMPERIALISMO ITALIANO NELLA
LOTTA PER LA CONQUISTA DEI MERCATI ESTERI.

Ma cosa succede se accettiamo le condizioni di Carli?
L’attuale crisi è crisi di sovrapproduzione. I capitali non si valorizzano più ai livelli necessari. Montagne di merci, di capitali, di forza-lavoro “eccedente” ingombrano il mercato e non possono essere utilizzate. Noi che produciamo siamo esclusi da qualsiasi ricchezza, mentre il capitale ciclicamente viene distrutto, svalorizzato, per permettere una nuova accumulazione. E qual è la scoperta di Carli?

“Ridurre il consumo interno per favorire le esportazioni e smaltire così l’eccedenza di merci battendo la concorrenza straniera sul mercato mondiale”.
Ma la crisi investe tutti i paesi capitalisti, e tutti sono costretti a fare questa geniale scoperta.
Il mercato mondiale non è che la somma dei mercati nazionali in concorrenza tra di loro, ne risulta una contrazione generale dei consumi e la sovrapproduzione diventa mondiale.
Dove si ficcherà Carli il suo 4,5% in più di produzione?

Ovunque la massa della produzione viene rallentata. E mentre migliaia di operai vengono licenziati, agli occupati viene imposto maggiore sfruttamento per aumentare la competitività delle merci.
E’ questo il vicolo cieco in cui ciclicamente si inceppa il capitale.
Esso non può essere sbloccato se non con una nuova ripartizione forzosa dei mercati, con la guerra imperialista oggi localizzata solo in alcune aree di scontro ma che si annuncia sempre più prossima come nuova guerra mondiale.

In questa prospettiva certo possono esserci anche più di 100mila posti, ma per produrre armi.
COMPAGNI!

L’IMPERIALISMO ITALIANO CI CHIAMA A NUOVI SACRIFICI, NON CERTO PER I DISOCCUPATI
MA PER DIFENDERE I SUOI INTERESSI DI ESPANSIONE NEL MONDO,
METTENDOCI IN CONCORRENZA CON GLI OPERAI DEGLI ALTRI PAESI, COME NOI SFRUTTATI.

ACCETTARE, CON I SACRIFICI, DI DIFENDERE L’IMPERIALISMO ITALIANO VUOL DIRE
DOMANI SERVIRE I PADRONI CON UNA DIVISA.
GLI OPERAI IN TUTTI I PAESI DEVONO DIFENDERE I LORO INTERESSI DI CLASSE
CONTRO GLI INTERESSI DEI RISPETTIVI PADRONI.

Gruppo Operaio Breda Fucine
Ottobre ‘ 78



Volantino 5
DOPO CARLI..... LAMA

Abbiamo già risposto alle proposte di Carli sul “mangiare di meno, lavorare di più” per pensare ai disoccupati, ora Lama ci fa la cortesia di precisare il tema.
Dice Lama: “Se vogliamo essere coerenti con l’obiettivo di far diminuire la disoccupazione è chiaro che il miglioramento delle condizioni degli operai occupati deve passare in seconda linea. La politica salariale dovrà essere molto contenuta. Le aziende hanno diritto di licenziare la manodopera esuberante”.

In parole povere per diminuire la disoccupazione dobbiamo far passare i licenziamenti e accettare salari da fame. Molti si sono scandalizzati di tanta sincerità, ma Lama non ha fatto altro che popolarizzare il documento approvato dalle 3 confederazioni che verrà “proposto” venerdì in assemblea.
1. Scaglionamento degli aumenti contrattuali sui tre anni
2. Modifica della scala mobile
3. Limitazione della cassa integrazione ad un anno
4. “Diritto” dei padroni a licenziare gli operai “eccedenti”.

Con la ferrea logica dell’azionista, Lama intende così raddrizzare i profitti della “barca Italia” con la solita promessa che con l’aumento dei profitti i padroni potranno impiantare la famosa fabbrica per impiegare i 2 milioni di disoccupati; e si lamenta che i livelli salariali sono troppo elevati e perché il nostro “orario di lavoro effettivo è uno dei più bassi tra i paesi industriali”. Ma anche Lama, da buon economista borghese è anche un nazionalista fottuto. Non dice certo che la crisi è di sovrapproduzione e investe tutti i paesi capitalisti e non è certo causata dai nostri “elevati salari”, ma, al contrario, da una eccedenza di capitali e merci da cui noi produttori siamo esclusi. Non dice che in tutti i paesi i padroni stanno peggiorando le condizioni dei propri operai. Non chiama gli operai italiani a solidarizzare con gli operai degli altri paesi. Tutt’altro!

Lama ci chiama a sacrifici “sostanziali” per sostenere l’imperialismo italiano nella concorrenza contro altri paesi.

Gruppo Operaio Breda Fucine
Novembre ‘78



Volantino 6
Defenestrato il Consiglio di Fabbrica dell’Alfa Sud

In 4.500, in maggioranza operai delle catene di montaggio, con cartelli di protesta, fischi, slogan, hanno interrotto e quindi espulso dalla fabbrica i “rappresentanti dei lavoratori”. “Non ci bastano i soldi - Noi delle catene che produciamo tutto non siamo rappresentati”. Queste le parole d’ordine della protesta.

Il sindacato, i benpensanti, l’opinione democratica, gridano allo scandalo. Solo una settimana prima 3.500 operai avevano protestato “slealmente” con tre giorni di “mutua” allo sciopero contro il terrorismo. I borghesi sono rimasti sconvolti. Ora nelle fabbriche del nord cercano di convincerci, a scanso di “generalizzazione”, che gli operai dell’Alfa Sud sono dei qualunquisti, senza coscienza di classe, invischiati nella logica clientelare.

“Non solo - dicono - sono insensibili ai richiami di difesa dello stato: chiedono addirittura aumenti salariali mentre bisogna sacrificarsi per l’economia in crisi. Calano la produzione mentre c’è da essere competitivi con la concorrenza straniera”.

In particolare il sindacato li accusa di voler accettare la “manovra padronale”: cottimi e incentivi per riportare la produzione ai massimi livelli.
Ma è troppo comodo scaricare sugli operai le proprie responsabilità dopo aver imposto la politica dei sacrifici, impedito un’efficace lotta per reali aumenti salariali, costretto gli operai a subire tutti i ricatti padronali.
E quale sarebbe poi l’alternativa sindacale? Realizzare ugualmente l’aumento di produzione padronale, ma in cambio di “equilibri politici più avanzati” (più potere ai burocrati sindacali nello stato)?!.

Sono dunque arretrati gli operai in lotta dell’Alfa Sud?

Dovrebbero schierarsi con lo stato e le istituzioni quando il “virus dei sacrifici” uccide in un mese più di quanto non abbia fatto il terrorismo in dieci anni?
Dovrebbero scioperare per funzionari e poliziotti quando non è concessa neppure una protesta per i propri bambini uccisi?
Dovrebbero accettare una linea sindacale che premia la “professionalità” e il “merito” quando le catene servono solo a succhiare razionalmente e interamente la loro forza-lavoro fisica?
Quale professionalità, quale merito per chi è stato ridotto ad un’appendice della macchina, espropriato anche del mestiere?
Aumentare i profitti in nome dell’occupazione quando a Napoli i disoccupati vengono caricati dalla polizia?
Se poi si vuol parlare di clientelismo parliamo dell’aristocrazia operaia del nord, della sua scalata nel comando di fabbrica e negli organismi di sottogoverno.
Altro che operai arretrati!

L’Alfa Sud è la fabbrica automobilistica più moderna d’Europa. Inchiodati alle catene dai più avanzati sistemi di sfruttamento, contrapposti al capitale per una condizione sociale complessiva che gli è storicamente imposta, questi operai rappresentano di fatto la frazione più avanzata del proletariato.

Solidarietà degli operai del nord con gli operai in lotta dell’Alfa Sud.
Gruppo Operaio Breda Fucine
Febbraio 1979