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Michelino - Trollio: Operai carne da macello

2. L’inchiesta operaia

 

Nei mesi che seguirono cercammo di raccogliere più informazioni possibili, procurandoci anche le cartelle cliniche di alcuni degli operai deceduti per tumore. Non fu facile, molti dei loro familiari non volevano parlarne, preferivano dimenticare per non ravvivare il dolore, altri non ci conoscevano e non si fidavano. 

Facemmo girare la voce fra gli operai ed i nostri conoscenti, chiedendo di avvisarci dei casi di loro compagni di lavoro o conoscenti che avevano lavorato in Breda Fucine e fossero morti per tumore. Cercavamo di rintracciare tutti gli operai che avevano lavorato nel reparto Aste in pensione, in cassa integrazione o licenziati che venivano da Lodi, Bergamo, Brescia, Piacenza o altre località.

Intanto alcun aiuto arrivava dal sindacato confederale ed enormi erano le difficoltà nel trovare avvocati disposti a consigliarci e a lavorare con noi sul piano giudiziario: si trattava di mettersi contro il Ministero del Tesoro di Carlo Azeglio Ciampi.

Nonostante le difficoltà, cominciammo a raccogliere molta documentazione utile alla ricerca, approfittando delle collocazioni decise dal padrone, Michele in cassa integrazione e Tagarelli in fabbrica.

Nel frattempo Giambattista  comincia a star male anche lui. Scopre di avere un linfoma, gli asportano la milza e comincia il calvario della chemioterapia. Il suo impegno nella ricerca della verità rallenta a causa della malattia, ma non abbandona la lotta, continua la ricerca sulla causa delle morti dei nostri compagni di lavoro e che ora colpisce anche lui.

Il lavoro di ricerca, di denuncia, la lotta contro le condizioni bestiali della fabbrica si scontra non solo con la direzione della Breda, cosa del tutto comprensibile, ma anche con il sindacato – cosa molto meno comprensibile – e persino con una parte dei nostri compagni di lavoro… e questo sì che ci faceva male.

Ai dirigenti sindacali che dicevano che con il nostro atteggiamento avremmo  contribuito a far chiudere la fabbrica, si affiancavano alcuni dirigenti aziendali che andavano dicendo in giro  che “in fabbrica i morti ci sono sempre stati” e non era il caso di sollevare polveroni. Saranno in molti a sentirsi chiamati in causa dalla nostra indagine: chi come complice perché sapeva e nulla aveva fatto per evitare queste morti annunciate, altri come carnefici.

Così intorno  alla nostra ricerca e alle nostre lotte negli anni verrà eretto un muro di silenzio, di omertà e di complicità; un muro costruito da padroni, istituzioni, sindacati, partiti.

Tagarelli, mentre continua la sua battaglia contro la malattia, viene  confinato in portineria:  ha così il tempo e la possibilità di scartabellare nei vecchi archivi della Breda Fucine e, rovistando in vecchi sacchi accumulati in cantina, riesce a recuperare una montagna di documenti sulle ispezioni compiute dal Servizio di Medicina Preventiva per gli Ambienti di Lavoro (SMAL) del Comitato Sanitario di Zona di Sesto San Giovanni.

I rapporti dello SMAL, che già dal 1975 denunciavano i pericoli mortali che avrebbero corso gli operai se non si fossero eliminate determinate sostanze cancerogene in alcuni reparti, erano stati puntualmente inviati alla direzione aziendale ed a tutte le autorità competenti, compresi i sindacati confederali.

Tutti li conoscevano, meno… gli operai, i diretti interessati.

È in questo periodo che entriamo in contatto con la dott.ssa Laura Bodini, un medico in quegli anni in prima fila nelle battaglie per la salute dei lavoratori. Le fornimmo i primi dati della nostra ricerca, e inoltrammo le prime denunce alle procure di Milano e Monza, denunce che rimarranno per anni senza risposta.

 

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